lunedì 19 dicembre 2016

La figaggine

Comunque, un capo che mi telefona e mi messaggia insistendo per mandarmi in vacanza un giorno in anticipo perchè altrimenti rischiamo di trovare troppo traffico ad Amburgo e sai, coi bambini in macchina può essere dura... beh, io tutta 'sta figaggine non l'avevo MAI MAI MAI provata.

God jul!!

lunedì 5 dicembre 2016

Jul

I danesi vanno matti per il Natale.

Che poi non si chiama nè Natale, nè Christmas, ma proprio Jul. Già la parola ha poco a che fare con la religione, in quanto Jul è l'antica festa della luce pre-cristiana. Insomma, si festeggiava il solstizio d'inverno (...o giù di lì), il giorno più corto dell'anno, augurandosi la luce e il ritorno alle giornate più lunghe. Il Natale cristiano si è poi sovrapposto a questa festa antichissima, facendola sua: la nascita di Cristo rappresenta la luce che torna nel mondo, e proprio per questo si è deciso che fosse proprio intorno al solstizio d'inverno.

QUANDO?
I festeggiamenti cominciano all'inizio di novembre. Sì sì, appena smontati i ciaffi di Halloween, si parte con i ciaffi natalizi. Visto che Cristo non c'entra, non si trova un presepe manco a pagarlo oro. Angeli, comete, magi... niente. In compenso, visto che si tratta di una festa della luce, le luminarie ce ne sono a pacchi. La casa del nostro vicino sembra un centro commerciale. Qua vanno forte Julemand (=Babbo Natale) e Julenisser, che non sono i piccoli aiutanti di Babbo Natale, ma folletti dispettosi. Anticamente nelle campagne era bene tenerli buoni offrendo loro una ciotola di porridge e qualcosa da bere, altrimenti avrebbero fatto dispetti agli animali della stalla e agli abitanti della fattoria.
L'ultima domenica di novembre comincia l'Avvento: Julemand arriva, porta i regali ai bimbi e accende gli alberi di Natale. Qua a Hjerting (sobborgo di Esbjerg) abbiamo festeggiato il Natale paesano il... 20 novembre!!

JULEFROKOST
In teoria significa "pranzo di Natale", ma è una cena. E NON si fa a Natale!
Pure per questa, i danesi si preparano con anticipo, fosse mai che si arriva impreparati all'ultimo. Si comincia ad organizzare a partire da agosto. Sì sì, agosto, avete letto bene. Agosto. Si festeggia dai primi di novembre in poi esclusivamente coi colleghi di lavoro (i familiari e partner sono esclusi), ci si ubriaca generalmente come le nocchie a suon di snapps (=cicchetti di acquavite), juleøl (=birra prodotta esclusivamente nel periodo di Natale, a gradazione doppia) e vino. Si raccontano storielle triviali, si fanno scherzetti zozzi e giochetti volgari, si cantano canzoncine sguaiate, specialmente coi capiufficio, che per l'occasione dismettono la veste seria e si sbragano. Mi è stato riferito che spesso le corna (...non quelle delle renne) si sprecano. Avete presente la festa di Natale nel film "Love actually?". Ecco, tipo. Tanto il giorno dopo non si ricorda più niente nessuno. Devo dire che lo julefrokost cui ho partecipato è stato tranquillo: brindisi e balletti a gogò, ma niente di particolarmente pruriginoso.

A SCUOLA
Si arriva quindi alle festicciole nelle scuole. Oohh, ecco una cosa che mi è particolarmente piaciuta. In Italia ho partecipato (da bambina) e assistito (da mamma) a un sacco di recite di Natale. Di solito i bambini fanno prove infinite per dire 2 battute in una sceneggiata di cui generalmente non capiscono il senso, imparano qualche canzoncina o spesso semplicemente piangono sul palco. Tutto è una gran vetrina per mostrare ai genitori quanto hanno lavorato a scuola. I genitori un po' sbuffano, un po' sgomitano per riprendere i figli, un po' guardano l'orologio, un po' si commuovono.
Beh qua invece c'è la festa. I genitori vengono invitati in modo informale a festeggiare l'arrivo di Julemand. Si arriva all'ora solita in cui si ritirano i bambini (circa le 16), si sta insieme ai propri figli seduti ai tavolini della classe. Il maestro chiede ai bimbi se vogliono cantare una canzone, decidono al momento quale e... via, si canta tutti insieme. Chi la sa, chi non la sa, chi fa finta, genitori e figli insieme. Pietro ha cantato in danese e io a momenti mi commuovo. Vengono offerti gli immancabili caffè e ableskriver (=frittelle di Natale) con marmellata di ciliege, ci si impasticcia di zucchero a velo insieme ai bambini. Si ritagliano un po' di decorazioni tutti insieme. Arriva Julemand, propone qualche altra canzone ai bambini. Un maestro improvvisa due accordi di chitarra. Due Julenisser accompagnano Julemand: sono due ragazzine di circa 10 anni, spigliate, sorridenti. Non se la tirano, non fanno nè le vergognose nè le fighette: coinvolgono i piccoletti dell'asilo, fanno scherzetti a Julemand. Julemand tira fuori gli immancabili dolcetti e caramelle per i bimbi, e via. La festa è finita, andiamo a casa.
Mi è piaciuto, molto. Sia il carattere rilassato dell'occasione, sia il fatto che fosse veramente una festa PER i bambini. I genitori erano ospiti e non spettatori.

IL COMUNE
L'accoglienza che questa città fa alla comunità straniera secondo me è straordinaria. Ieri siamo stati al Potluk (=pranzo condiviso) di Natale, organizzato dal Newcomers Office di Esbjerg. Un grande salone, con tavole apparecchiate e decorate. Tutte le famiglie straniere sono state invitate, ognuno ha portato i piatti della propra tradizione. E poi glogg, birra, ris-à-l'amand (=budino di riso, dolce tipico natalizio danese) caffè e bevande per tutti. Due laboratori organizzati per far divertire i bambini. Giochi e regalini per grandi e piccini. L'immancabile arrivo di Julemand. Tutto per coinvolgerci e incontrarci, passare una giornata piacevole con altre famiglie, conoscere le tradizioni danesi. Tutto messo a disposizione dal Kommune. Figata.

JUL
Il 24 dicembre è Jul. Si festeggia rigorosamente in famiglia. I danesi, anche se non religiosi, vanno in chiesa di pomeriggio. Poi alle 18 circa inizia la cena a casa, dove si mangia tradizionalmente l'anatra arrosto. Si scartano i regali dei piccini, si canta facendo il girotondo intorno all'albero. I bimbi vanno a dormire, i grandi giocano, cantano. Il Natale è famiglia, per tutti, anche qua.
E il 25 dicembre che si fa? Niente. Niente niente niente. Ci si riposa, ci si riprende dalle bevute della sera prima, si digerisce. Jul è finito. Non c'è Santo Stefano, ci si prepara già per l'ultimo dell'anno. Il 1 gennaio le feste di Natale sono concluse.

martedì 29 novembre 2016

Danesi, colleghi, tutor

E' già un mese che non scrivo!
Non riuscirò mai a mettermi a pari.
Domani avremo il nostro primo modultest di danese. Gli insegnanti ci assicurano che si tratta di una formalità, però un test è sempre un test, no?

Come faccio a riassumere tutto quello che è successo ultimamente?
Farò un elenco. Perdonatemi la scarsa poesia.

1) Il danese. IL DANESE!!
Urca se è difficile impararlo. Imparare una nuova lingua a 42 anni è parecchio straniante. Ti ritrovi a esprimerti per ore e ore con: "Il gatto. Sta. Sul tetto" o roba del genere. Parli come un bambino di 3 anni, anzi, peggio. Quando andiamo a prendere Pietro al bornehaven (=l'asilo) a volte i mocciosi ci chiedono qualcosa e noi rimaniamo come ebeti a guardarli senza capire niente. Qualsiasi concetto anche minimamente articolato è una montagna ripidissima. Mettere correttamente in ordine le parole in una subordinata è un giro sull'ottovolante.
Cazzo, mi sento fighissima perchè finalmente PENSO in inglese, e non  basta. E' come essere soddisfattissima per aver perso 20 chili e poter rientrare  nella taglia 42, e... cazzo, la nuova 42 è la 38.

2) I miei colleghi di corso.
Ci sono altre 2 coppie di medici: una dalla Polonia, e una da Cuba (emigrati in Spagna da circa 12 anni). Ti senti fighissima perchè parli italiano, francese e inglese e capisci un po' di spagnolo. Dopo 5 minuti che li hai conosciuti ti senti una merda, perchè questi qua parlano tutti 5 lingue. Una bella dose di umiltà, ci vuole. L'affinità dei mediterranei non è una leggenda metropolitana, comunque, c'è poco da fare. I cubani/spagnoli per ora sono quelli con cui ci troviamo meglio. Hanno alle spalle storie che a raccontarle ci vorrebbe una vita a parte. I polacchi invece sono convinti che io e GF siamo dei mafiosi in trasferta e noi glielo lasciamo credere. In generale è comunque un'esperienza molto stimolante stare seduti alla stessa tavola con cubani, polacchi, svedesi, danesi, portoghesi, cileni, venezuelani, inglesi, rumeni. Un ragazzo rifugiato afgano, ex-chirurgo per MSF, dice poco e ha tutto un mondo già alle spalle.

3) Il GAP culturale.
C'è? Non c'è? Sì e no. 'Sti danesi sono gentili, hanno un'ironia dark interessante, sono rigidi come tronchi su certe cose, supertolleranti su altre. Guidano di merda e hanno auto da schifo, ma rispettano sempre i limiti. Bevono come le spugne alle feste, ma reggono l'alcool come io non ho mai visto. E prendono rigorosamente il taxi se hanno bevuto. Sono vicini a noi, sono europei, ma la loro storia è molto molto diversa dalla nostra. Hanno difficoltà anche solo a esprimere a parole il concetto di "avanti Cristo".
Un episodio mi ha particolarmente colpita.
Dopo 2 settimane dall'inizio del corso io e una collega abbiamo avuto un brutto raffreddore, un po' di febbre e tosse. Siamo andate lo stesso a lezione, che per noi al momento è come andare al lavoro, perchè siamo pagati per questo. Siamo stati cazziate pesantemente. Se si sta male SI DEVE stare a casa, è PROIBITO andare al lavoro, perchè si rischia di trasmettere malattie ai colleghi. Figurati, e io che pensavo di fare il mio dovere. Figurati, e io che in Italia sono andata a lavorare anche con la febbre a 39 sennò i capi mi richiamavano. Qua anche se tuo figlio sta male, telefoni al capo e stai a casetta tua. Niente certificati, giustificazioni, richieste in carta bollata. "Qua il rapporto di lavoro è basato sulla fiducia", ci hanno risposto. E mi viene da pensare alle polemiche annuali sulle assenze sospette dei vigili romani sotto le feste di capodanno, ai certificati falsi di malattia e tutto il baraccone.

4) Il mio tutor e colleghi.
Venerdì inizierò, un giorno alla settimana, ad andare nella mia practice. Il mio tutor intanto si premura di farmi sentire a mio agio ancora prima di cominciare. Un invito a casa sua con tutta la famiglia per un caffè in giardino, una visita ai cavalli insieme ai bimbi, due chiacchiere rilassate. Qualche telefonata per chiedermi come stanno i bimbi, se la scuola è partita bene, se abbiamo bisogno di qualcosa. Quasi un mese fa annuncio una visita alla practice per un saluto, e mi invita a pranzo fuori (pranzo di pesce), insieme ad un collega. 4 ore di chiacchiere, di spiegazioni, di cultura e storia danese, di curiosità. Una settimana dopo sono stata invitata allo Julefrokost (=il pranzo di Natale. Sì, un mese prima...lo so. Julefrokost è un'istituzione, l'occasione più importante dell'anno per qualsiasi azienda/ufficio, il momento più alto di convivialità del gruppo-lavoro). Un rito di passaggio. Un onore. Sono stata pomeriggio e serata con 16 sconosciuti, che parlavano tutti danese. Millemila brindisi e scherzetti e giochini. Tutti che mi hanno salutato, accolto, dato il benvenuto. E il mio tutor seduto vicino a me che mi raccontava, spiegava, indicava, traduceva. Se penso al mio professore di malattie infettive che in 4 anni di specialità non mi ha mai neanche pagato un caffè, con cui non ho mai scambiato neanche un'opinione personale*. Boh. Ragazzi. Io non ho parole. Spero di essere all'altezza di tale accoglienza, veramente.

*Per dare a Cesare quel che è di Cesare, comunque, il mio tutor (NB.: NON il professore, eh) a malattie infettive, A.G., è stato invece un meraviglioso e disponibile collega. Con lui sì, che abbiamo fatto mille belle chiacchierate.

domenica 16 ottobre 2016

Lunchbox, altro che passione

Non avrei mai creduto di poterlo dire, ma mi ritrovo a rimpiangere le mense scolastiche italiane. Ebbene, sì, dopo aver partecipato allo sport nazionale della mamma lamentosa all'uscita della scuola, dopo aver detto la mia su "mangiano troppa XXX e troppa poca YYY" (e al posto delle incognite metteteci quello che vi pare), adesso ricordo con nostalgia i tempi in cui qualcun altro provvedeva ai pranzi dei bimbi.
Qua niente mensa, niente cuoche amorevoli, niente inservienti attenti, niente pasto caldo.
Qua c'è il LUNCHBOX.
All'inizio sembra una novità divertente: "Ah, adesso sì che avrò il controllo su quello che mangiano i MIEI figli!". Vai da Tiger* e cerchi il bento-box più cool, immaginando i meravigliosi pasti giapponesi dei film di Miyazaki.




La realtà è diversa: i bambini hanno FAME. Io non so se i bambini giapponesi, così magrolini, riescono a stare dalle 8 alle 16 con quelle scatolettine là, ma i miei figli italiani, cresciuti a vincisgrassi e porchetta, con quelle due cazzatelle colorate ci fanno l'aperitivo. Ci vuole una scatola GROSSA, capiente, che non si apra al primo lancio di zaino e che possa contenere un pranzo e una merenda.
Qua la policy delle scuole sconsiglia fortemente (per non dire VIETA...qua la parola "vietato" viene spesso sostituita da complicati giri di parole per non sembrare troppo definitivi) di fornire junk food o dolci ai bambini. E vabè, su quello c'ero arrivata anch'io, le caramelle per pranzo non sono il massimo. Purtroppo non c'è la possibilità di riscaldare i cibi, neanche col microonde, per cui bisogna prevedere cibi appetibili anche freddi. Infine devo tentare di preparare cose che si mangino facilmente, possibilmente con le mani (oppure devo fornire forchette o cucchiaino, che rubano spazio). Niente minestre o zuppe, che se si rovesciano fanno un casino. Insomma, i cappelletti in brodo o la parmigiana di melanzane non sono adatti.
Il risultato è che ogni mattina mi tocca svegliarmi mezz'ora prima per preparare i lunchbox, scervellarmi per inventare menù sani e gustosi e variarli il più possibile. Ricordo i primi tempi dell'università, quando ancora non avevo capito che era meglio andare in mensa e prendevo un panino al bar ogni giorno: dopo 2 anni ho sviluppato una gastrite che ogni tanto mi fa una visitina ancora oggi.
Oh ragazzi, io ci provo.
I miei lunchbox prevedono sempre un elemento principale di carboidrati + proteine (es.: insalata di pasta con verdure, riso con piselli e carote, un panino integrale con insalata e crema di tonno, un uovo sodo, insalata di legumi), verdura da mangiare cruda (ad es.: sticks di carote o cetriole, pomodorini, cavolfiori crudi), frutta fresca, frutta secca (mandorle, noci, nocciole), a volte hummus, a volte yogurt greco con miele e mandorle, a volte un salatino di sfoglia con prosciutto e formaggio.
A volte è proprio la morte delle idee e gli faccio un panino col salame e sticazzi. Ho deciso di fare del mio meglio, ma anche di non sentirmi troppo in colpa se a volte gli dò una semischifezza. Che poi noi degli anni 70 a panini col salame ci siamo cresciuti.

Emma e Leo hanno il doposcuola dalle 14 alle 16, che prevede che facciano non una, ma ben 2 merende. Aggiungo un frutto per ciascuno e una fetta di torta che di solito faccio la domenica e cerco di far durare qualche giorno. In mancanza della torta, vado di minisandwich o biscotti.

Che stress! alla fine dell'anno scolastico in Italia ero stremata dai loro compiti, quassù sarò stremata dai lunchbox.

Lunedì: Muffin di carote e mandorle, insalata di pasta con pomodoro e feta, stick di carote, spicchi di mele, uvetta

Martedì: Salatino prosciutto e formaggio, cavolfiore crudo, banana, mandarino, mela, stick di parmigiano, fettine di banana secca

Mercoledì: Insalata di ceci e pomodori, stick di carote, fetta di pane integrale, spicchi di mela, noci

Giovedì: Panino con salsa di tonno e insalata, panino con mascarpone e marmellata, banane, pomodorini, noci, banane secche

Venderdì: Muffin carote e mandorle, pomodorini, uva, banane secche, sandwich con hummus e insalata


* Ho scoperto che Tiger è una firma danese, che si pronuncia Tier e che significa non solo "tigre", ma anche "a spende poco". 

mercoledì 28 settembre 2016

Di come nacque la scrittura danese.

Anno 1023

Olaf Herjolfossøn il Vichingo è stanco dopo una lunga giornata di sgozzamenti e razzie. Se ne sta spaparanzato su una spiaggia siciliana e guarda il cielo. Ad un certo punto sente due italiani che parlano tra loro e pensa:
-Oibò! che strana lingua! che dolci suoni! Vorrei impararla anche io!-
Ma Olaf non ha molti amici in Sicilia, poichè nei mesi precedenti non si è fatto una buona fama, e al solo vederlo così pelorosso e alto, tutti quanti fuggono spaventati.

Allora Olaf decide di andarsene alla biblioteca comunale di Vigata e scopre una fantastica cosa: i libri!
-Oibò! - pensa il nostro amico Olaf - chedè questa bellezza? questi meravigliosi segni? E perchè noi vichinghi padroni del mondo non li conosciamo? -
Infatti la lingua di Olaf è solo PARLATA. Al massimo i druidi tracciano qualche runa sulle pietre cerimoniali, ma a scuola si insegna come costruire le navi e come bruciare le case altrui, ma di scrittura non c'è traccia.
-E che vogliamo essere noi da meno di questi latini e greci? Giammai! - si dice Olaf.

E allora si mette a tavolino e decide di inventare la lingua scandinava SCRITTA.

Quei cazzoni dei latini e greci si arrovellano con le declinazioni e le coniugazioni dei verbi.
-No no, lasciamo perdere 'sta rottura di palle, - pensa Herjolfossøn - che poi i bimbi a scuola mi trascurano il corso di impalamento per star dietro alla grammatica-

Olaf però non vuole essere da meno dei terroni mediterranei, e allora decide di strafare.
Raduna il clan e decidono, dopo essersi scolati 8573 corni di birra, di scrivere TANTE TANTE consonanti, anche se non si pronunciano.
Allora quella parola deliziosa, che lui ha sempre pronunciato “laili” decide di scriverla “lejlighed”, o quella che le sue mogli chiamano “soue-else” la scriverà “soveværelser”.
Sefuli! (= selvfølgelighed)
-I latini hanno la H e non la pronunciano, e noi vogliamo essere da meno? Noi non pronunceremo la G, la D, la V, la L, la R, la K solo se è doppia, la T se viene dopo la D, la H ma solo se viene prima di V, scriviamo ER ma diciamo A, eccetera eccetera eccetera.
Si pronuncia “al”, si scrive: alfbÒVKIJBdvòiæødtdtghsbrpal.

E che, vogliamo accontentarci di quelle 5 vocali sfigate??
No no. Noi ci scriviamo pure la ø, la æ e la å, e poi coglioniamo tutti dicendo che si pronunciano in modi completamente diversi dalle solite A, O e E. E se provano a dire il contrario, sgozziamo tutti!-

E poi Olaf ha un'idea GENIALE.
Decide che il suono dello smørrebrød che gli va di traverso si scriverà: D.
-E coloro che provano a pronunciarla “D”, gli stupriamo le mogli!- tuona il nostro Herjolfossøn.

Olaf ora è contento e soddisfatto.
I norvegesi hanno i fiordi.
Gli svedesi avranno l'Ikea.
I danesi avranno tante tante consonanti (mute).

E una patata sempre in gola.

domenica 18 settembre 2016

Io e le banche: una luuuunga storia

Chi mi conosce da tanto tempo sa che con le banche non vado granchè d'accordo. Basta l'evocazione di questa frase : "ma lei, conosce qualcuno?" per strappare un sorriso ai miei amici di lunga data.

Ho dovuto aprire un conto in una banca danese, indispensabile per l'accreditamento dello stipendio.
Ecco, ho scoperto che le banche sono uguali da tutte le parti.
Anzi no.
Anzi sì.

Capitolo 1: la scelta della giusta banca.

Vado a trovare il mio tutor per un saluto e esce fuori che devo aprire il conto in banca. Lui mi suggerisce una piccola banca a cui fa riferimento tutto lo studio e io decido di accettare il suo consiglio. Vado subito nel vicino ufficio della suddetta banca e ci accoglie un impiegato anzianotto MOLTO in difficoltà con l'inglese. Non fa caso al fatto che gli dica che sono un medico dell'ambulatorio vicino (come suggeritomi dal tutor) e ci invia al sito web per tutte le informazioni, dicendoci che ci vogliono 14 giorni per aprire un conto. Mhhh... Salutiamo e se n'annamo. Se non sembra interessato lui ad acquistare nuovi clienti, figuriamoci noi.
Svoltiamo verso la piazza principale e ci dirigiamo alla Danske Bank, la più grande del Paese.
Lì l'impiegata mi apre un conto in 10 minuti, senza battere ciglio. Per la carta di credito, niente da fare: ai nuovi arrivati non si concede, niente eccezioni, il contratto di lavoro che mi porto dietro non basta a garantire che sarò una cliente affidabile. Mi devo accontentare della carta di debito. E vabè, aspettiamola  a casa. Continuerò ad usare la mia VISA italiana (e pagare un botto di commissioni).

Capitolo 2: il direttore della banchetta.

Il giorno dopo ricevo una telefonata da un numero danese. E sai chi è? Il direttore della piccola banca suggeritami dal tutor. Motivo: scusarsi tantissimo per il trattamento che avevo ricevuto il giorno precedente. Il mio tutor l'aveva chiamato per dirgli che sarei andata, lui ha convocato il suo impiegato che parlava male inglese e quando ha scoperto che non avevamo aperto il conto mi ha chiamata personalmente. Quando gli ho detto che avevo risolto con un'altra banca era mortificato (spero che non sia volata una testa!), mi ha chiesto di incontrarci il giorno successivo per ridiscutere la situazione davanti ad un caffè, mi ha mandato un'ulteriore mail di scuse... Oddio, alla fine ero imbarazzata per lui. Mi faceva pena, e ancora di più il suo impiegato, che si sarà preso un rimprovero coi fiocchi. Ho anche mandato un sms di scuse al mio tutor, alla fine, che si era speso per me.
Ma ve lo immaginate un direttore di banca italiano che mi si comporta così? Boh, io no.
Comunque la frittata era fatta: il conto lo avevo già aperto da un'altra parte e stigrancazzi la banchetta.

Capitolo 3: le carte di debito/credito.

Dopo una settimana mi arriva il bancomat. Tutta contenta, provo ad usarlo alla caffetteria della scuola di danese. Niente. Ci vuole la fantomatica Dankort. A quel punto interviene la mia superenergica insegnante di danese e prende la situazione in mano. Mi chiede quali condizioni avevo strappato alla Danske Bank, come mai non mi avevano dato una VISA/Dankort, quali erano le spese previste. Alle mie risposte replica:
"no, nononono... non ci siamo!! Dammi il numero che adesso li chiamo IO!". E segue una bella strigliata telefonica al povero impiegato di turno.
Urca, da quando è cominciata 'sta storia sto falciando bancari come se non ci fosse un domani.

Capitolo 4: il meeting.

Dopo 10 minuti di telefonata M. torna con un nome e un orario su un biglietto. Due giorni dopo mi aveva fissato un appuntamento con una consulente della Danske Bank. Mi suggerisce quali condizioni strappare (conto completamente gratuito, carta VISA gratuita, trasferimenti all'estero gratuiti, ecc...). Spalanco gli occhi: come otterrò tutto ciò? "Tranquilla"-mi fa- "le ho detto che sei un medico, e qui abbiamo talmente bisogno di voi che ti stenderanno un tappeto rosso".
Capito. Adesso devo andare lì e fare la cazzona. Mi ci vedo proprio.
Due giorni dopo vado all'appuntamento: dietro l'ingresso tutto vetri della sede amministrativa mi sta già aspettando la tipa. Ci conduce in un piccolo ufficio tutto per noi: maxischermo, caffè, acqua. Dopo le due chiacchiere di rito cala gli assi.
Oh, ragazzi, mi hanno messo tra i clienti VIP! NON ho spese. Ho la VISA. Se deposito euro non pago niente. Posso ritirare euro dal bancomat senza ricarichi. Non ho dovuto neanche parlare, aveva già fatto tutto.
Mi rivolgo agli amici di lunga data: Io tra i clienti VIP! Ma mi ci vedete???
Mi saluta e mi informa che per ogni richiesta lei è sempre disponibile.

Nota in più: la mattina stessa vado a depositare degli euro allo sportello. L'impiegata mi fa pagare 40 corone (circa 5 euro) di commissione. Penso: aaahhh, vedi? stocazzo che non pago niente!
Dopo 3 ore ricevo una mail: la mia consulente ha già provveduto a rimborsarmi le 40 corone e si scusa perchè l'impiegata me le ha fatte pagare (probabilmente non le era ancora stata notificata la modifica del mio profilo-cliente).

Oddio... avranno cazziato pure quest'ultima?

sabato 17 settembre 2016

Primo mese

Un mese fa giungevamo in Danimarca. Mi ripeterò, ma sono accadute talmente tante cose che sembra una vita fa. 
Io e GF abbiamo iniziato il corso di danese il 1 settembre. E' MOLTO impegnativo: 6 ore di corso al giorno e alla fine usciamo con feroci mal di testa. Inoltre, mi sembra di essere tornata al liceo, con GF che fa una domanda dietro l'altra all'insegnante, che fra un po' avrà il terrore di porre il fatidico "ci sono domande?" alla fine della lezione. Diciamo che GF non si lascia scappare l'occasione di mitragliarla. Comunque, tra una pausa caffè e l'altra (ma quanto caffè bevono questi qua??), le giornate procedono di gran carriera. A confronto degli anni universitari in cui letteralmente correvo tra le aule e l'ospedale mangiando (se andava bene) un panino per strada qua è tutto relax. E stare lontano dai pazienti per qualche mese è un toccasana per il mio burnout. Il mio dovere al momento è solo IMPARARE, la mia responsabilità è stare attenta, arrivare puntuale (puntuale per davvero eh, ritardare solo 3 minuti non è acceptable) e fare compiti...una passeggiata di salute a confronto degli ultimi, estenuanti, tempi al lavoro. E poi dormo tutte le notti a casa (anche se ancora sui materassi gonfiabili... pare che l'Ikea sia un tantino lenta a fare le consegne) e sono libera tutti i weekend!

La nostra insegnante è una macchina da guerra, al solo sentire il suo nome (la conosce tutto lo Julland, pare) tutti ci guardano un po' ammirati e un po' preoccupati: "aahhh, è M. che vi insegna!! allora ci credo che state faticando!". Il corso proposto dal Kommune (250 ore gratuite sono previste per tutti i Newcomers) a confronto del suo è un brodino leggero. La Regione ha fatto un grande investimento nel pagarmi questo corso (anzi... mi pagano per partecipare al corso), e la possibilità che anche GF partecipi (in quanto facente parte dello Spouse Program come coniuge di un medico) è un grande privilegio.
Ce ne siamo resi conti una settimana fa. GF è stato invitato ad un ciclo di incontri orientati alla ricerca del lavoro rivolti ai Newcomers del Kommune di Esbjerg. Per partecipare ha chiesto di poter essere assente un giorno al corso di danese: M. è stata scontenta, ma quella che ha l'obbligo di frequenza sono io, lui ha facoltà di scelta. Beh, per GF l'incontro con gli altri expat è stato interessante per l'argomento in sè, ma ancora di più per il confronto con altri immigrati, i quali pur stando qua da anni non parlano ancora danese. Molti di loro (ingegneri, informatici, ecc...) se la sono sempre cavata con l'inglese e l'hanno ritenuto sufficiente. La loro sensazione è che imparare una lingua difficile come il danese non sia indispensabile, visto che qua tutti parlano anche inglese. E forse non lo è, in effetti, in alcuni lavori. Ma a nostro avviso (e anche secondo tutti i job-adviser di qua) se non sai parlare non puoi nemmeno sperare un minimo di integrazione, di conoscere la cultura del Paese in cui vivi. Di capire -che so- cosa dicono durante la riunione scolastica dei genitori o ad uno spettacolo teatrale. O i tuoi figli quando cominceranno a parlare in danese tra loro. E se neanche ci provi forse agli occhi dei locali sei solo uno con la puzzetta sotto il naso che viene qua solo per soldi, senza alcun reale interesse a viverci per davvero. In fondo, non è lo stessa cosa che diciamo noi italiani degli immigrati di lungo corso in Italia? GF si è ritrovato a sapere, dopo solo due settimane di corso, più danese di persone che stanno qua da due anni. Insomma, siamo stanchini, facciamo i compiti dopo cena, non abbiamo tempo a volte manco di fare la spesa, ma già cominciamo a vedere i primi frutti: capiamo qualche frase alla radio, esprimiamo qualche concetto elementare. Certo, tornare a parlare come dei bambini di 2 anni non è piacevole, ma ci vuole un po' di autoironia.

Fagiolina e Nanetto sono entusiasti della scuola, non si riesce a cavare loro una parola di bocca su cosa effettivamente facciano ("ma leggete? scrivete? avete imparato delle parole nuove??"...niente, omertà assoluta), ma per ora ci accontentiamo di vederli sereni e allegri. Fagiolina, in particolare, continua a ripeterci quanto sia felice della scuola qua, ogni tanto si confonde e le sembra di essere ancora in vacanza! Rivedere la serenità nei suoi occhi è una gioia immensa.
Fagiolino invece queste ultime due settimane ha cominciato ad accusare il colpo. Grandi pianti e addii strazianti quando lo lasciamo alla mattina al kindergarten. C'è da ammettere che anche lo scorso anno ogni tanto piangeva all'asilo, i primi mesi. Ma qua la cosa ci fa sentire molto più in colpa, immaginandolo solo e incompreso in classe. Tuttavia quando lo riprendiamo sembra molto tranquillo, e le maestre e maestri ci confermano che è partecipe, allegro e anche rubacuori: pare che tutte le bimbe se lo contendano. Lo hanno definito "brillante". Lo ritroviamo zozzo lercio come un porcello, segno che si è divertito un bel po' a ruzzolare, arrampicarsi, scavare e pasticciare. Ha cominciato a cantare qualche canzoncina, ma a casa è reticente pure lui nel raccontare.
Ci hanno raccontato che piuttosto che imparare lui il danese, sta insegnando l'italiano a tutta la scuola. 


martedì 30 agosto 2016

Bambini coraggiosi

Siamo in DK da due settimane e sembrano mesi. La casa è ancora vuota e gli scatoloni semiaperti occhieggiano in mezzo a quella che sarà la sala. Ci sono state così tante novità che provare a scriverle tutte diventa un compito arduo.
La più importante di tutte: i bambini hanno cominciato tutti la scuola. Fagiolina e Nanetto nella scuola pubblica (folkeskole), in una receiving class per bambini stranieri, Fagiolino nel kindergarten.
Io non so descrivere il senso di ammirazione e orgoglio che provo nei confronti dei miei figli: bambini coraggiosi, che affrontano emozionati, ma senza paura, sfide che terrorizzerebbero qualsiasi adulto. E non che siano inconsapevoli, perchè avevano ben chiaro in mente che sarebbe stato tutto nuovo e che sarebbe stato difficile capire e farsi capire. Con una sola parola sicura in testa ("toilet"...per stare tranquilli!) sono entrati nelle rispettive classi e si sono tuffati in un mondo nuovo. 
Noi genitori passiamo i giorni a cercare di contenere l'ansia. La maestra della scuola elementare appena arrivati ci ha dato in mano un biglietto con scritto TAXA, un orario e un indirizzo vicino al nostro domicilio. Io ho subito capito male ("eccolallà: alla faccia del tutto gratuito...eccoli che vogliono una tassa da pagare") e invece si trattava del TAXI che dal giorno successivo (NB.: secondo giorno di scuola) sarebbe venuto a prendere i nostri figli a casa per portarli a scuola. Aggratis. Eh sì, perchè abitando distanti da scuola oltre 2,5 km abbiamo diritto a questo servizio. 
Cuore di mammà, subito angosciata al pensiero dei miei cuccioli che non solo vanno tra gli stranieri (ahahaah...fa ridere, qua gli stranieri siamo NOI), ma ce li porta uno sconosciuto, e chissà dove scendono, chissà dove li scarica, chissà se trovano la via della loro aula nella scuola così grande...
Il primo giorno di taxi siamo stati tentati di seguirlo, di nascosto. Ci siamo dati un contegno e ci siamo trattenuti. Due ore dopo la maestra ci ha mandato, di sua iniziativa, un sms per dirci che era tutto ok. Oh, io 'sta cosa l'ho trovata di una sensibilità enorme. 
I bimbi tornano a casa contenti, stanchi, un po' frastornati.
"cosa hai capito oggi?"
"niente"
"avete imparato una nuova parola?"
"boh?"
"vi siete divertiti?"
"un sacco!"
Per adesso va bene così.

E il piccolo?
Ha cominciato l'asilo ieri.
Lui non ha una maestra dedicata all'insegnamento del danese: imparerà ascoltando gli altri. Pure lui si è buttato nella mischia e ha giocato come un matto tutto il giorno. Certo, l'ambiente aiuta: tanti, ma tanti di quei giochi e attività da perderci la testa (compreso un parco tricicli/macchinine a pedali invidiabile: vorrei poterci andare io!), soprattutto all'aperto. Altalene, scivolo, orto, grandissima area sabbia, decine e decine di secchielli e palette, la nave dei pirati, l'autobus, i travestimenti, il tavolo da falegname, l'albero per arrampicarsi, le amache, la zona fuocherello/barbecue all'aperto...boh, nemmeno ricordo tutto. L'inserimento, che immaginavo netto e crudo (...all'inglese: li smolli lì da subito e li riprendi dopo 6 ore) invece è ritagliato sulle sue/nostre esigenze: volete restare un'ora/due ore/tutto il giorno? ok. Il primo/secondo/terzo giorno? ok. Volete andare via e telefonarci? ok.
Il primo giorno siamo stati due ore con lui durante le quale siamo stati in disparte a guardarlo e a parlare col suo insegnante di riferimento, il quale è rimasto quasi sempre con noi (osservando Pietro nel frattempo) per rispondere ad ogni - proprio OGNI- nostra domanda. Oggi lo abbiamo lasciato alle 8 e lo abbiamo ripreso alle 14. Stanchissimo e soddisfatto. Kenneth (il suo insegnante) oggi ha contattato un consulente linguistico per avere consigli sulla gestione dell'impatto della nuova lingua su Pietro: stanno progettando un sistema visuale (stile "point-it": immagini da indicare) per aiutarlo a farsi capire meglio.
Mi piace che ci siano insegnanti giovani, insegnanti maschi, insegnanti che sembrano molto committed ed entusiasti del loro lavoro.

Negli ultimi due giorni abbiamo deciso di cambiare un poco i nostri progetti per i primi mesi: la mia (futura) insegnante di danese ha molto insistito affinchè anche GF partecipasse al corso con me. Cioè, capiamoci bene: un corso superintensivo per me -che devo sbrigarmi a imparare presto la lingua per poter lavorare- è figo, ma ci sta. Ma la figaggine estrema dello stesso corso GRATUITO pure per GF...boh, a me pare di sognare! come si può dire di noad una opportunità così? Pertanto anzichè essere libero a casa GF sarà al corso con me fino alle 15, a Vejle, circa 100 km da qui. Come organizzarci coi bimbi? il kindergarten è aperto fino alle 17, e i bimbi più grandi cominceranno il doposcuola (SFO) dalle 14 alle 16. Ecco: questo ha fatto incrinare le mie (millantate) sicurezze e oggi mi sono presentata in segreteria per chiedere info sull'SFO con gli occhi strapazzati dalle lacrime. Che madre di merda, non mi accontento mai, guarda 'sti cuccioli sbattuti in un mondo sconosciuto, e ce li lascio pure per più del previsto, sono un mostro! Abbiamo tempestato la povera segretaria di domande ansiose da veri italian parents...alla fine se la rideva sotto i baffi, mentre ci mostrava quanto è vicina l'aula dell'SFO a quella dei bimbi, come è grande il giardino e quanto sarà facile per loro fare nuove amicizie. 

Boh, io sono veramente orgogliosa dei miei figli. Sono impavidi e curiosi, sicuri di sè e sensibili, si fanno coraggio e vanno avanti. Bravi, bravi, bravi.

domenica 21 agosto 2016

Primi giorni, prime impressioni

Siamo in terra danese. 
La casa è veramente bella, sia per la sua struttura, un po' rustica e imperfetta, con il pavimento in vero cotto e i mattoni grezzi intonacati di bianco, sia per la sua fantastica posizione, a due passi dal mare, con un grande parco proprio dietro lo steccato del giardino. La sensazione è un po' quella delle vacanze, che scendi in spiaggia direttamente in costume e torni su ancora bagnato dopo i tuffi.
La fatica è veramente tanta, però. Un conto è muoversi da soli, un conto coi bambini, che si stancano, strillano, vogliono attenzione e attenzione e -l'ho detto?- attenzione.
Sono rumorosi, urlatori, maneschi: passano ore ad azzuffarsi e parlare a voce altissima. L'altro giorno, all'Ikea (grande il triplo di quella anconetana, ci abbiamo messo 3 ore a girarla), Fagiolino ha ringhiato a due bambine e spinto un bambino che gli rubava un gioco: questi piccoli biondi danesi sono completamente indifesi di fronte a tanta aggressività (che in Italia passa invece del tutto inosservata) e se ne scappano piangendo dai genitori che ci guardano orripilati.
D'altro canto, se in Italia reagiremmo con una sonora sgridata, qua non è ben visto nè il gridare ai bambini, nè -figuriamoci!!- prenderli per un braccio e portarteli via: ti guardano tutti come se fossi un orco. Beh, immaginate 3 figli che urlano e si rincorrono e si rotolano per terra e si spintonano per tutta l'Ikea, stanchissimi loro e stanchissimi noi, e non puoi neanche sgridarli, e però ti guardano tutti male perchè fanno troppo casino. Uno stress che ci ha fatto coniare un nuovo termine: STOMACOSSO (=stomaco così contratto e duro da diventare di consistenza ossea). Non c'è Peridon o Pantoprazolo o Maalox che tenga, contro lo stomacosso. 

Nonostante le letture angoscianti di pagine facebook di italiani expat, che riportano pratiche burocratiche complicatissime e file estenuanti, la nostra esperienza con gli uffici danesi per ora è stata più che positiva: siamo stati accolti e coccolati all' International Citizen Service di Odense, i bambini riforniti di giochi e materiali per colorare, attese brevissime. Sarà perchè avevamo già preparato tutto in anticipo. Sarà perchè Jørgen, il recruiter con cui ho preso i contatti fin dal primo momento, è stato come sempre professionale ed efficiente, tanto da essere presente nel giorno del nostro arrivo. Sarà perchè avevamo tutti i documenti in regola, o forse perchè c'è necessità della mia figura professionale. Insomma, è andata liscia.

Entrare in una casa COMPLETAMENTE vuota è snervante, e per quanto sei preparato e hai preparato i bambini, e hai raccontato loro (e anche a te stesso) che in fondo è come stare in campeggio, e dormire per terra è fantastico, "facciamo finta di guardare il cielo stellato"... dopo cinque giorni sei stanco. Non avere nemmeno le sedie ci ha però dato l'occasione di fare colazione di fronte al mare e cenare sul tavolo del parco giochi: come sempre da una mancanza nasce un'occasione.

Siamo in crisi con l'immondizia: qua non si riciclano molte cose che siamo abituati a riciclare, e non abbiamo ben capito come funziona il ritiro a domicilio. Come nella famosa storiella, può funzionare tutto a meraviglia, ma se non funziona il... foro di uscita, tutto si blocca e si incasina! speriamo di trovare presto il bandolo della matassa.

Io sono stata fin da bambina un'animista convinta: sono certa che le cose abbiano una loro anima e oggi mi sono trovata a commuovermi pensando alla nostra casa italiana. La casa qua, pur vuota e con le sue scomodità, è veramente meravigliosa, e io mi sento di tradire quella italiana, che abbiamo sistemato e organizzato a nostra immagine. Mi sento di farle uno sgarbo e lei se ne dispiacerà. E allora per dispetto elenco le cose scomode (e anche scontate, lo so...) di qua, così mi sento meno in colpa:

-Lavandino della cucina minuscolo, lo scolapasta mi ci entra appena (lo so, non è pensato per le magnate italiane, ma io ero abituata al mio 2 vasche)
-Niente scolapiatti, nè gocciolatoio. Niente. Ma se sporchi un bicchiere e gli dai una sciacquata, poi, dove lo devi mettere?
-OVVIO: la mancanza di bidet. Ma questo ce lo sapevamo, no?
-I fuochi a induzione. Saranno moderni, ma a me fanno cagare: ci mettono ore a scaldarsi, e le modifiche di potenza sono lentissime. Non sarà un caso che gli chef usano il gas, no?
-La porta che si apre solo col codice, niente chiave. Se va via la luce, come si fa??
-Qui i ragni sembrano proliferare alla velocità della luce, ma perchè?

Oggi siamo stati a fare una passeggiata a Marbaek, la zona verde 10 minuti a nord di casa nostra: km e km di boschi sul mare, che ci ricordano il Monte Conero. Si cammina tra gli alberi, in sentieri che un po' si addentrano e un po' sbucano sul mare, tra abeti, pini, faggi, e cespugli di more e rose canine. Il bosco dà sul Vadehavet National Park, che è un parco marino istituito per proteggere la miriade di uccelli che passa di qua durante le migrazioni. Verso l'interno ci sono dei laghi (non so se salmastri o meno) dove oggi abbiamo visto le mucche fare il bagno. Insomma, le bucoliche dietro casa. Ci siamo portati a casa un bottino di more che ora stanno cuocendo in forno in un clafoutis.

Il tempo per ora ci ha graziato, donandoci 3 giorni di sole pieno e gran caldo (mi sono pentita di non aver preso neanche una maglia a maniche corte), e 3 giorni di pioggerellina sottile alternata ad arcobaleni e nuvolette. Non poteva esserci imprinting migliore per i nostri bimbi.



domenica 24 luglio 2016

L'infinito

Alla radio, mentre guido, c'è una canzone che improvvisamente evoca i miei 18 anni. E nei 3 minuti della canzone mi scorre davanti l'ultimo anno di liceo, quando sapevo che avrei voluto fare il medico, anche se ancora non avevo ancora idea di cosa significasse.

Gita di fine anno nella festosa Spagna degli anni 90: la prima volta all'estero senza genitori.
Mi sentivo libera, libera libera e piena di vita. Le mie prime trasgressioni, che a pensarci adesso mi inteneriscono, che a confrontarle con quelle di un attuale quattordicenne sembrano ridicole: le sigarette, i (tanti) bicchieri pieni di ghiaccio e Grand Marnier o Cointreau, o vodka, passare la notte nella camera dei ragazzi, con i professori che facevano la ronda fuori della porta, il gioco della bottiglia, obbligo o verità. Quella camicetta trasparente che mettevo per andare in discoteca, il bagno vestiti nella piscina dell'hotel, il tuffo nel Mediterraneo gelido con la paura della punizione degli insegnanti. C'era una frenesia, una voglia di correre, di scappare in avanti, una curiosità di guardare al di là della siepe che non ho provato mai più in modo così travolgente, ingabbiata successivamente nei miei tomi universitari e nel rigore autoimpostomi nello studio. C'era un turbamento e un languore che mi struggeva e mi eccitava e stravolgeva; c'era una sensualità che comandava ogni nostro gesto di tardoadolescenti e ci faceva sentire temerari e sfrontati. Dormivamo pochissimo, bevevamo tanto, ci sfioravamo, ci guardavamo negli occhi, c'erano silenzi lunghissimi e risate fragorose. Il sesso non aveva ancora svelato tutti i suoi misteri, eppure c'era sesso ovunque, in ogni tocco e sguardo e ammiccamento. Non si poteva, non si doveva superare il limite, e compensavamo con sguardi che ci davano i brividi. Tanta vita è venuta dopo, i successi e i fallimenti, le soddisfazioni professionali, la disperazione e la solitudine, il tradimento dei valori e delle amicizie, la deprivazione emozionale, lo stordimento di storie e persone che andavano e venivano. E il sesso: non più immaginato, il trasporto della passione o la noia della consuetudine, l'amore rabbioso e quello dolce, gli amorazzi di una serata, il piacere e anche, talvolta, il fastidio. E poi l'amore finalmente pieno e totale, il compimento di una strada tortuosa iniziata da tanto, la famiglia, vedere sè stessi moltiplicati negli occhi dei figli. Ma solo poche altre volte mi è accaduto di vivere l'esaltazione febbricitante di quella settimana di vacanza, quando tutto il mondo era a portata della mia mano, tutto era possibile perchè tutto era immaginabile.

Ieri GF ha compiuto 42 anni, e fra poco li compirò anche io. Abbiamo avuto una rara occasione di relax in questi giorni frenetici, una sdraia sotto le stelle, la vista del mare, della luna, delle nostre Marche, che fra poco saluteremo, una birra fresca in mano e una musica easy nelle orecchie. Eravamo al compleanno di un amico di sempre: 50 anni.  E ho pensato che una volta si andava alla gran festa dei 20 anni, mentre ora cominciano le feste per i 50.
Io gli anni che ho non me li sento, dentro. Il fisico, quello sì, è uno sfacelo, ma se dovessi azzardare la mia età direi che ho 28 anni. L'età in cui mi sono liberata delle regole familiari e ho avuto obblighi solo verso me stessa, ma con tutto il futuro davanti e tanti anni per realizzarlo. Sento che tutto può essere, tutto POSSO essere. E' stata una serata dolce, c'era il profumo dell'estate e quella brezza di mezzanotte che ti rinfresca l'appiccicaticcio dell'afa diurna. GF era vicino a me e ho rievocato quella sensualità dei 18 anni, la stessa esaltazione. E GF sempre, da sempre e per sempre nei miei occhi, oggi come allora.

No, non ho più 18 anni, nè 28. Ci sono momenti in cui mi dico: "sono amica di B. da 30 anni, ho questo ricordo di 35 anni fa..." sorprendendomi io stessa di queste cifre. E però io sento che ancora tanta parte del mio futuro è là, oltre la siepe, e io, Noi, stiamo per andare a prendercelo.

sabato 16 luglio 2016

Io e le mie colleghe

Meno un mese alla partenza. Si comincia a mettere in ordine, raccogliere scatoloni, buttare quello che non serve più.
E ovviamente in questa operazione di decluttering non possono mancare bilanci e riflessioni.

Ieri sono stata a cena con le mie colleghe-amiche, per dirci arrivederci. Siamo state proprio bene, chiacchiere, aneddoti, pettegolezzi e risate. 
Sono stata proprio fortunata, dal punto di vista dell'ambiente di lavoro, in tutti questi anni. Sono sempre stata circondata da persone disponibili e collaborative, pronte a darsi reciprocamente una mano quando c'era bisogno. Sia durante gli anni della specializzazione a Ferrara, che durante gli anni della medicina generale e della guardia medica non ho mai sperimentato prevaricazioni e divisioni e so che questa è una vera rarità.
Ho riportato tante volte su questo blog lo sconforto di un lavoro a tratti insoddisfacente, la mia rabbia per le ingiustizie o le indifferenze di dirigenti poco oculati, il dispiacere del sentirmi poco apprezzata.
Ebbene, in un mondo così, l'environment diventa ancora più importante, addirittura fondamentale per tirare avanti. E, lo ripeto, io sono stata proprio fortunata. Con le mie colleghe e colleghi ci siamo sempre dati una mano, sia professionalmente che umanamente, non è MAI capitato un episodio spiacevole, una recriminazione o un'accusa. Non oso neanche immaginare che inferno sarebbe potuto essere se fossi capitata (e capita, capita...) tra colleghi invidiosi a fare lo slalom tra dispetti e sgambetti professionali.
Ricordo benissimo gli anni dell'università, dove certi patetici personaggi ti guardavano in cagnesco anche se facevi solo un esame più brillante del loro, o che ti sgomitavano in corsia per attirarsi le attenzioni del professore di turno. Io fin da allora sono sempre stata un'outsider, una che tirava dritta facendosi i fatti suoi. Ma tra medici dicono sia importante (o forse necessario) stabilire una rete di conoscenze, costruirsi ad arte rapporti (spesso a soli fini utilitaristici) di reciproco scambio (=do ut des) per poter sempre dire "io sono amico di...". Salvo poi ritrovarsi col culo per terra appena il tuo "amico" si scorda di te se/quando gli fa comodo.
Sarà per questo che di tutti i 100 e più colleghi di università quelli con cui ho mantenuto una vera amicizia sono meno di 5. Sarà forse per questo che alcuni dei patetici personaggi di cui sopra sono conosciuti professionisti con la targa di ottone sul corso principale della città e io ancora mi arrabatto.
Tuttavia, ho fatto quello che la mia natura mi diceva di fare.
E credo di averci guadagnato in serenità e coerenza. Non mi sono mai dovuta guardare le spalle.
Anche le mie colleghe stanno un poco ai margini, come me: persone tranquille che cercano un bilancio tra lavoro e vita privata e famiglia, che non immolano tutte le proprie energie (fisiche ed emotive) sull'altare della carriera. Non hanno rimorsi, stanno a testa alta. E io sono stata bene con loro.
Mi sento di ringraziarvi tutti e tutte, per avere reso piacevole la navigazione in questi mari tempestosi.

sabato 18 giugno 2016

Le mie prime dimissioni

Non so neanche più quante volte in questi ultimi mesi ho compiuto un gesto del quale mi sono detta: "da qui non si torna indietro". Quando ho accettato il nuovo lavoro, quando ho firmato il contratto, quando l'ho comunicato alla mia famiglia, quando ho firmato il nulla osta per il cambio di scuola di Fagiolina. Oggi ho fatto il più difficile: rassegnare le dimissioni. Di questi tempi, dare le dimissioni da un lavoro a tempo indeterminato, uno stipendio discreto e soprattutto sicuro, non è facile. Un incarico senza ferie, senza aspettative, senza malattia, senza maternità, ma comunque un lavoro che mi ha permesso di portare avanti la mia famiglia per cinque anni. Ho avuto tanti dispiaceri, su questo lavoro; primo fra tutti, e non lo dimenticherò mai, il dolore e il senso di ingiustizia per dover lasciare Fagiolino e Nanetto a 3 mesi di vita per i miei turni di 12 ore. E i miei genitori o GF che mi portavano in ambulatorio un Nanetto disperato dalla fame perchè lo allattassi. E il senso di frustrazione e di inadeguatezza quando i bambini piangevano mentre uscivo per fare la notte. E i saluti frettolosi, le cene fatte in piedi o non fatte per niente, e GF da solo a prepararli alla mattina. Ma ho anche conosciuto delle Colleghe e Colleghi fantastici, disponibili, onesti e collaborativi come ce ne sono pochi, purtroppo, nel nostro ambiente. Ho avuto la riconoscenza e il supporto di tantissimi pazienti, ho imparato a conoscere le persone, le loro case, le loro piccole difficoltà quotidiane. Credo di essere stata di aiuto ad alcuni di loro. Ho ricevuto gesti di stizza, di rabbia, di disperazione, di minaccia, di supporto, di riconoscenza, di amicizia. Ho visto le case di centinaia di persone: mi sono fatta un calcolo approssimativo e avrò fatto oltre 5000 visite, in questi 5 anni (ma sono 15 anni che faccio, anche se non continuativamente, questo mestiere, quindi sono certamente molte molte di più). Ho imparato a non aver (quasi) più terrore delle notti da sola, a mantenere il sangue freddo...ove possibile, a confrontarmi con la cronicità e con le urgenze. Credo di aver imparato a parlare con la gente.

Oggi ho scritto la prima lettera di dimissioni della mia vita.
Questo lavoro non prevede aspettative, sono una libera professionista, se sospendo la mia attività non ci sono alternative alla cessazione del rapporto di lavoro.

Oggi ho consegnato a mano le mie dimissioni: fare una raccomandata mi sembrava troppo impersonale.
I  miei superiori mi hanno a malapena degnata di uno sguardo, l'unica cosa che mi hanno chiesto è stata se davo un preavviso congruo. Nè un "in bocca al lupo", nè un "come mai?", o un "comunque, grazie" (ma questo di certo non me lo aspettavo, eh). Ho visto la totale indifferenza nei loro sguardi. Mi sono addirittura chiesta se effettivamente mi avessero riconosciuta.
Un medico, un professionista che dovrebbe essere una risorsa per questo Paese se ne va, e nessuno sembra accorgersene. Sono molto dispiaciuta, sembra che io non abbia lasciato nessun segno. Via una, sotto un'altra a sgobbare. Tutto questo non fa che rafforzare la mia determinazione. Cuocetevi nel vostro brodo: graduatorie bloccate, H16, H24, Sanità Pubblica, Sanità Privata, ECM, Decreti Ministeriali...non sono più affar mio.  
Come mi è capitato di ripetere più volte in questi giorni, raramente ho preso una decisione importante con così tanta sicurezza e fiducia, tuttavia... quanta, quanta amarezza mi lascio indietro!


mercoledì 20 aprile 2016

Alla ricerca di una scuola buona

Torno ancora una volta sull'argomento scuola.
La scorsa settimana abbiamo avuto i colloqui di Fagiolina. Tra le tante cose che metterò nel mio bagaglio di ricordi lasciando l'Italia, ci sarà lo sguardo ferito di una delle sue maestre. Ci ha confessato, con gli occhi lucidi, che sente di non essere riuscita a mettersi in contatto con la classe, di non essere stata capace di trasmettere loro ciò che avrebbe voluto. E ci ha detto, quasi bisbigliando, che facciamo bene a portare via Fagiolina. Che fiorirà di nuovo, in un altro ambiente. Che avrà finalmente il modo di essere fino in fondo la bambina speciale che è. Che ha grandi potenzialità che non è riuscita ad esprimere in questo ambiente sfavorevole. 
Il senso di sconfitta che emergeva dalle parole di questa giovane (ma esperta) insegnante ci ha toccati profondamente. Ci ha riempiti di tristezza per lei, e di rabbia per nostra figlia, per il suo futuro e quello di un'intera generazione. Di amarezza per questa Italia che non guarda avanti e non mette gli insegnanti nelle condizioni migliori per lavorare. Che guarda irrimediabilmente al passato senza accorgersi che la buona scuola è altro (leggete tutto l'articolo, è molto interessante: https://www.uppa.it/educazione/scuola/la-scuola-non-e-una-gara/).

"La scuola efficace è quella che sa trasformare la classe in un laboratorio di interazione continua e sistematica fra i bambini, che lavorano, insieme, in funzione di un’esperienza concreta e condivisa. Questo metodo permette, attraverso la problematizzazione, di attraversare gli errori e utilizzarli ai fini dell’apprendimento, piuttosto che della competizione.
Purtroppo l’Italia, in modo particolare con la riforma Gelmini che ha riproposto i voti nella scuola primaria e addirittura la possibilità di essere bocciati sulla base di un’insufficienza numerica, è regredita in maniera significativa. Valutare continuamente con dei punteggi numerici quello che l’alunno sta facendo significa interferire in modo arbitrario con quel flusso mentale, cognitivo, ma anche sensoriale, grazie al quale il bambino acquisisce una competenza. Le valutazioni negative non producono alcun miglioramento nel rendimento scolastico, costituiscono soltanto una modalità punitiva e mortificante."

Uscendo, mi risuonava in mente la scena de "La meglio gioventù", ormai vista e rivista decine di volte, specialmente da me che sono un medico. Una scena ambientata OLTRE 40 anni fa.


Ieri Fagiolina è stata male, e per un giorno è rimasta a casa.
Oggi è tornata a scuola e la maestra di matematica le ha dato per compito una scheda da completare. La stessa scheda su cui hanno lavorato ieri in classe, mentre lei era assente, e che avrebbero dovuto completare per domani. I suoi compagni hanno quindi avuto le ore in classe e 2 pomeriggi per farla. Fagiolina ha avuto solo oggi pomeriggio. Beh, nella scheda c'erano oltre 60 operazioni da svolgere. Dopo 8 ore in classe, perchè Fagiolina va a scuola a tempo pieno.
Essere stata male un giorno si è trasformata in una sorta di handicap e "recuperare" quello che non ha fatto in classe sembra una punizione.

Io non mi sento neanche più di criticare questo modo di fare la scuola. Non so più a chi attribuire colpe e responsabilità: la situazione è grave a così tanti livelli che ci vorrebbe, come si dice nel film, un'apocalisse, altro che una patetica riforma.

Io so solo che Fagiolina venne definita, anni fa, da educatrici di grande esperienza e competenza "una bambina straordinaria, una leader naturale, una fuoriclasse", e adesso me la ritrovo a piangere calde lacrime su decine di operazioni, a gridare "io odio i compiti! io non ci capisco niente! io non ci riuscirò mai!" e non so se è troppo tardi per toglierle dalla testa e dal cuore questa spina gelida che le è entrata dentro e che le fa credere di non essere capace di imparare.

In Danimarca non esistono voti fino a 13 anni, perchè "lo scopo dei primi anni di scuola è quello di sviluppare primariamente le competenze sociali dei bambini".
La premessa sembra buona, speriamo di ritrovare un po' di serenità.



lunedì 11 aprile 2016

L'accoglienza vs l'invadenza

Da un paio di settimane ho dato il via ad una operazione di decluttering estremo in casa. Complice il prossimo trasloco, ho deciso di liberarmi di una montagna di oggetti che giacciono da mesi, se non anni, nei meandri di casa e di rivenderli, riciclarli, regalarli e, solo se non c'è alternativa, buttarli. L'idea è quella di fare un po' di ordine, togliere di mezzo quello che tanto non porteremmo mai con noi in Danimarca e lasciare solo quello a cui siamo estremamente affezionati. Per quanto tutti quelli che vengono a casa nostra si stupiscano di quanto sia "vuota" e spartana (ci chiedono se ci siamo appena trasferiti quando, in realtà, stiamo qui da oltre 3 anni), le cose da eliminare non mancano di certo.

Ieri nel mio paesello c'è stato un mercatino svuota-soffitte in piazza e ho colto l'occasione di fare il mio banchetto di libri e oggetti usati.
Appena arrivata, alle 8,30, parcheggio temporaneamente davanti al ristorante della piazza per poter scaricare velocemente il banchetto e la mercanzia: tempo neanche 10 minuti e la padrona del ristorante (che sarebbe rimasto chiuso fino all'ora di pranzo) mi invita a spostare subito l'auto, che lì non può stare e dà fastidio.

La giornata poi è scorsa via abbastanza piacevolmente, con qualche vendita e qualche chiacchierata, complice il primo sole primaverile.
Ho scoperto che la mia vicina di banchetto di destra è anche una vicina di casa, mentre i miei vicini di sinistra erano due uomini marocchini con un tavolo enorme pieno di oggetti di ogni tipo.
L'organizzatrice del mercatino mi racconta che quest'anno ha dovuto faticare parecchio per ottenere i permessi per il mercatino: nonostante la giunta di sinistra, sembra sia indecoroso fare un'esposizione di cianfrusaglie e paccottiglia usata. Alcuni negozianti della piazza si sono lamentati e opposti, e non si sa se ci saranno altri eventi del genere. Inoltre, in questo periodo c'è un'importante mostra di quadri in città che attira molti turisti: che cosa potrebbero pensare di tutte queste cianfrusaglie che deturpano la bellezza della nostra gloriosa città??

All'ora di pranzo, mi volto un attimo verso sinistra e scorgo che si apprestano a mangiare uno stupendo cus cus da un'ENORME tajine. Una roba mai vista. Sorrido e auguro buon appetito, ma loro mi invitano, cucchiaio alla mano, ad unirmi a loro. Non ci metto molto ad accettare: troppo gentili loro e troppo invitante l'aspetto del cus cus, che io adoro! Condividiamo il pasto chiacchierando, e mi fanno notare come sia bello mangiare dallo stesso piatto, perchè i confini in quel momento non ci sono più.



Notano tra i libri usati sul mio banchetto Shah-in-shah di Kapuscinsky, (ho quasi tutti i suoi libri) che in copertina mostra una immagine di Khomeyni e da lì in un attimo cominciamo a parlare di religioni, di guerre, di sciiti e sunniti, di orrori e di pace. 


Mi raccontano brani del Corano, sorridiamo all'irrazionalità di alcuni dogmi ("ma se Gesù è il figlio di Dio, chi sono i suoi nonni?"). Io ascolto, confesso che per noi europei è molto difficile comprendere le spaccature interne all'Islam, dichiaro che a mio parere staremmo tutti meglio se non ci fossero religioni. Il tempo passa, offro loro un caffè, scherzano dicendo che è una cosa molto strana che un medico si metta a fare mercatini. Una persona "modesta", mi definiscono.

Ad un certo punto sento una nenia sommessa: uno dei due prega dopo aver steso il tappetino a terra. Si sente appena la sua voce, si avverte che è un momento di intimità.

Nel pomeriggio si materializza un vassoio d'argento con un delizioso tè alla menta che i due signori offrono orgogliosi a metà piazza.


Alle 18, arriva accanto a noi un gruppetto di persone. Piazzano proprio accanto al tavolo dei due marocchini una sorta di ambone, microfoni, altoparlanti. Infine sistemano un grande manifesto "missione in piazza" e l'immagine di Gesù. Iniziano canti a squarciagola nel microfono, bambini e adulti armati di chitarre che girano in cerchio, si allargano, invadono il corso. Raccontano al microfono di vite tristi e vuote che miracolosamente hanno acquistato un senso dopo aver conosciuto Gesù, cercano di coinvolgere la piazza. 
Sono invadenti, sono rumorosi. Non si riesce più a parlare con gli avventori del banchetto, anzi, le persone che passano corrono via veloci e non si fermano al mercatino: c'è troppo rumore, la passeggiata domenicale si fa per stare un po' in pace.
Dopo un'ora e mezza di preghiere e canti (parecchio lagnosi, tra l'altro...se questo deve essere un mezzo per fare proselitismo sarà il caso di trovare qualcosa di più accattivante!), la maggior parte di noi comincia a smontare  banchetti. Non ne possiamo più, ci è venuto il mal di testa. E la gente non si ferma neanche più a comprare, gira alla larga.

Me ne sono andata con un grande senso di fastidio, e anche di vergogna.
Avevo sperimentato la condivisione e il dialogo con questi due signori gentilissimi, avevo osservato il loro modo discreto di pregare e di vivere le loro tradizioni e convinzioni, e poi arrivano questi ferventi neocatecumenali, che devono sbandierare a tutti la loro fede, invadere gli spazi e rumoreggiare sguaiatamente di conversioni e peccato, sbatterci in faccia i loro bambini-soldato della fede. Questo secondo me è stato indecoroso, questo è stato volgare.
I due marocchini non hanno detto una parola fuori posto, neanche uno sguardo di fastidio nei loro confronti. Piuttosto una sorta di rassegnazione.
Ci siamo salutati stringendoci la mano, ma piuttosto sommessamente, le voci sopraffate dai canti microfonati.

Il ristorante, che a quell'ora apre per la cena, ha la vetrina coperta dal grande manifesto di Gesù. La padrona non fa neanche un accenno di protesta. Tutto va bene: quei canti sguaiati sono in italiano, quella piccola folla è dei nostri, tutti rispettabili e irreprensibili cittadini del paesello, famiglie per bene. Non venditori ambulanti, non spacciatori di cianfrusaglie che tanto rovinano il decoro della città. Non -non sia mai- stranieri islamici!

Ecco, io a tutti quelli che continuano a blaterare di islamici che ci sbattono in faccia la loro religione e la loro cultura, che si devono adeguare, che sono chiusi, che non vogliono integrarsi...gli avrei fatto passare una giornata come quella di ieri.

P.S. Mi chiedo infine se anche i "missionari in piazza" abbiano dovuto pagare la tassa per l'occupazione di suolo pubblico che invece è stata richiesta a tutti noi espositori.

mercoledì 6 aprile 2016

Rido e piango insieme

Ore 12,40 di un mercoledì di aprile. Squilla il telefono e vedo che il numero del chiamante inizia con +45: Danimarca. Faccio la figa e non mi faccio cogliere impreparata, rispondendo con un: "Hello, Margherita is here!"
"Buonciorno, io chiamo perchè so che avete delle domande per noi sulla scuola di Esbjerg".

Mi cade la mascella.

Il Comune di Esbjerg, come tante altre città danesi, ha un ufficio dedicato ai newcomers, per aiutare i nuovi arrivati a stabilirsi confortevolmente nella città. Durante i recruitment days fatti a gennaio a Esbjerg, la Regione Syddenmark e Workindenmark (le Agenzie che, di fatto, mi hanno offerto il lavoro) mi hanno fatto conoscere la responsabile del Newcomer's Service, con la quale siamo in contatto per tutto ciò che riguarda documenti, housing e scuole. Lei stessa, dopo averci chiesto le nostre preferenze riguardo la zona dove abitare, ci ha consigliato la scuola e il quartiere più adatto a noi. Ha contattato la scuola, inviando la richiesta per l'iscrizione nella receiving class (dove i bambini che non parlano danese sono inseriti per il primo anno, per facilitare loro l'apprendimento della lingua).
E oggi la scuola ci ha chiamati, per mettersi a nostra disposizione!

Fagiolina e Nanetto andranno in classe insieme, una classe di 12-15 bambini. Orario: 8-14.
"C'è da acquistare qualcosa, tipo libri, penne, quaderni?"
"No, forniamo tutto noi!"
[e mi viene da pensare alle 2 pagine di lista di materiale scolastico da comprare anche per l'asilo, qua in Italia]
"C'è da mettere un fondo cassa, tipo per gli acquisti della classe durante l'anno?"
"No, da qualche anno qua in Danimarca non è più legale dare soldi alla scuola pubblica."
[e mi viene da pensare che ci è toccato mettere un fondo cassa per fornire i bambini di acqua e carta igienica. Per non parlare del "contributo volontario"/obbligatorio che paghiamo ogni anno alla scuola elementare]

"I bambini devono portare il pranzo?"
"Sì, possono portare quello che vogliono. Faranno 2 pause durante la mattinata, perchè si sa, sono BAMBINI, e devono uscire tutti i giorni."

Occhi umidi.

"E devono avere un abbigliamento particolare? una divisa? o forse tutine impermeabili per stare fuori?"
"No no, nessuna divisa! Sì, una tuta impermeabile può essere una buona idea, perchè qua i bambini escono anche se piove...."

"Alla fine di giugno saremo ad Esbjerg per trovare la casa, sarà possibile venire a visitare la scuola?"
"Ma sì, certo, siete i benvenuti!!"

Lacrimuccia che mi si affaccia al ciglio.

"E...dobbiamo portare dei documenti, qualcosa per l'iscrizione?"
"Ma no, state tranquilli. I bambini hanno già il loro posto!"

"Io...io... ti ringrazio tantissimo, sei stata molto gentile! E... tu sei un'insegnante della scuola?"
"Ma sì!! IO SARO' L'INSEGNANTE dei tuoi bambini! Per me è stata una bellissima sorpresa sapere che ci saranno due bambini italiani nella classe!!"

E lì altro che occhi a cuoricino, io non sapevo più se ridere o se piangere.

NON SOLO la municipalità si è occupata di trovare la scuola adatta alle nostre esigenze, verificare che ci fosse posto nella receiving class e iscrivere i nostri bambini, MA la scuola si è procurata di CHIAMARCI per rispondere ai nostri dubbi, trovando un'insegnante che parlasse anche italiano (per essere sicuri di capirci bene), rendendosi disponibile per altri chiarimenti e per una visita guidata tutta per noi. 

Vabè, io non faccio altro che chiedermi dove sia l'inc..ata, perchè sembra TROPPISSIMO bello.

Boh, saranno per caso cattivissimi coi bambini??


venerdì 1 aprile 2016

Pillola rossa o pillola blu

Ancora una volta il parco giochi dopo la scuola si rivela una finestra aperta sulle dinamiche sociali dei nostri figli. Accompagni i bambini a giocare e sei spettatore di comportamenti che mai ti aspetteresti da un settenne.
Nello specifico: una compagna di classe che tratta tua figlia come una schiavetta. Le mette in mano il suo succo di frutta -finito- e le dice: "buttalo via". Non è la richiesta di un favore, ma un ordine. E poi se ne va a giocare più in là, lasciando tua figlia tra lo stupito e il sorpreso, a cercare un cestino.
GF, dopo aver assistito alla scena, si è avvicinato alla bimba e le ha chiesto il perchè di questo comportamento poco gentile. E la bambina a sostenere imperturbabile lo sguardo di un adulto, senza scusarsi, senza porsi un dubbio al mondo.

Non è la prima volta che assistiamo a queste scene. Una volta la bambina, giocando con una amichetta, si è messa a schizzare Fagiolina con l'acqua delle pozzanghere per non farla avvicinare. Un'altra volta, si è divertita a spaventare Fagiolino, incastrandogli quasi una mano nello sportello dell'auto. Tutto sotto lo sguardo impassibile della nonna, troppo presa dalla sigaretta o dal cagnolino, o dai pettegolezzi per ACCORGERSI che la nipote si comporta da bulletta. 

Ok, mi rendo conto che detta così non sembra tutta sta gran cosa. Ma è lo stile, la spregiudicatezza, e la innegabile voluntas nocendi che ci lascia sbalorditi.
Altro che innocenza infantile.

E Fagiolina, in tutto questo? Non si rende pienamente conto di essere trattata con disprezzo. Desidera giocare con la compagna di scuola, e non capisce come mai non riesce a farlo. Non sa leggere la situazione, prova disagio e non sa neanche perchè. Si difende come può, a volte fingendo indifferenza, a volte accettando i piccoli soprusi. 

GF oggi, tornando a casa, le ha spiegato cosa era successo:
"Fagiolina, non ti sembra che X. si sia comportata male? Secondo te era giusto che tu buttassi la sua spazzatura?"
Fagiolina comprende quello che aveva solo intuito, e ne rimane profondamente turbata. Ferita, forse. E per molti motivi: perchè la sua "amica" non si è comportata da amica. Perchè improvvisamente si accorge di essere stata presa in giro. Perchè sperimenta il senso di esclusione.
Ed è anche quasi arrabbiata con GF, che le ha disvelato questa realtà, mentre poteva lasciarla nell'illusione che X. le avesse "chiesto" un semplice favore.

Qual'è l'età giusta per accorgersi che esistono persone negative? Che cosa dobbiamo fare noi genitori: proteggere i nostri figli evitando loro lo scontro con la cattiveria il più a lungo possibile, oppure buttarli nella mischia affinchè si rendano presto conto di come a volte è amara la realtà?


No, perchè a volte io penso che la pillola blu non era così male. Si vivrebbe inconsapevoli, felici e stigrancazzi.

venerdì 25 marzo 2016

A settembre ci sarò!!!



Dopo nemmeno un mese dal nostro arrivo ad Esbjerg, sull'isoletta di Fanø, proprio davanti alla città, ci sarà questa meraviglioso festival: non vedo l'ora!
Mi sembra un segno che è la destinazione giusta. Yeahhhh!

mercoledì 23 marzo 2016

Danimarca, arriviamo!!



Eccolo qua, il comunicato ufficiale: ad agosto la famigliuola partirà, emigrerà, leverà le tende. Destinazione: Danimarca.
Chi se lo sarebbe immaginato?
Sì lo so, sono anni che parliamo di andare a vivere all'estero, ma la Danimarca non me la sarei mai aspettata. Di tanti Paesi che ho visitato, specialmente in Europa, la Danimarca mi mancava proprio; GF ha fatto qualche vacanza a Copenaghen, ma io sono stata nella terra della Regina Margherita II (ebbene sì! :-) ) per la prima volta 2 mesi fa. E precisamente per il mio colloquio di lavoro finale.
10 anni ci abbiamo messo, a trovare il coraggio di fare il salto, e le candidate sono state tante: Inghilterra, Svezia, l'Irlanda era in pole position, la Scozia (che rimane nei nostri sogni), ma abbiamo fatto un pensierino anche alla Francia. All'India, addirittura. E invece Danimarca.

Vorrei cominciare qua il diario di questo espatrio, per ricordare giorno per giorno tutti i passi di questa nostra grande avventura familiare.
Lascio tutto: contratto a tempo indeterminato, casa appena ristrutturata, la lingua italiana e le mie sicurezze. Il lavoro l'ho cercato e trovato io, GF per il momento ha l'obiettivo sempre più vicino della laurea, e quando ci saremo sistemati là si metterà anche lui a cercare il suo impiego. I bambini sono entusiasti, per ora, poi chissà.

Esbjerg. Si va ad Esbjerg, sul Mare del Nord. La città del vento.


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Mennesket ved Havet - L'uomo che guarda il mare, il simbolo di Esbjerg