sabato 16 luglio 2016

Io e le mie colleghe

Meno un mese alla partenza. Si comincia a mettere in ordine, raccogliere scatoloni, buttare quello che non serve più.
E ovviamente in questa operazione di decluttering non possono mancare bilanci e riflessioni.

Ieri sono stata a cena con le mie colleghe-amiche, per dirci arrivederci. Siamo state proprio bene, chiacchiere, aneddoti, pettegolezzi e risate. 
Sono stata proprio fortunata, dal punto di vista dell'ambiente di lavoro, in tutti questi anni. Sono sempre stata circondata da persone disponibili e collaborative, pronte a darsi reciprocamente una mano quando c'era bisogno. Sia durante gli anni della specializzazione a Ferrara, che durante gli anni della medicina generale e della guardia medica non ho mai sperimentato prevaricazioni e divisioni e so che questa è una vera rarità.
Ho riportato tante volte su questo blog lo sconforto di un lavoro a tratti insoddisfacente, la mia rabbia per le ingiustizie o le indifferenze di dirigenti poco oculati, il dispiacere del sentirmi poco apprezzata.
Ebbene, in un mondo così, l'environment diventa ancora più importante, addirittura fondamentale per tirare avanti. E, lo ripeto, io sono stata proprio fortunata. Con le mie colleghe e colleghi ci siamo sempre dati una mano, sia professionalmente che umanamente, non è MAI capitato un episodio spiacevole, una recriminazione o un'accusa. Non oso neanche immaginare che inferno sarebbe potuto essere se fossi capitata (e capita, capita...) tra colleghi invidiosi a fare lo slalom tra dispetti e sgambetti professionali.
Ricordo benissimo gli anni dell'università, dove certi patetici personaggi ti guardavano in cagnesco anche se facevi solo un esame più brillante del loro, o che ti sgomitavano in corsia per attirarsi le attenzioni del professore di turno. Io fin da allora sono sempre stata un'outsider, una che tirava dritta facendosi i fatti suoi. Ma tra medici dicono sia importante (o forse necessario) stabilire una rete di conoscenze, costruirsi ad arte rapporti (spesso a soli fini utilitaristici) di reciproco scambio (=do ut des) per poter sempre dire "io sono amico di...". Salvo poi ritrovarsi col culo per terra appena il tuo "amico" si scorda di te se/quando gli fa comodo.
Sarà per questo che di tutti i 100 e più colleghi di università quelli con cui ho mantenuto una vera amicizia sono meno di 5. Sarà forse per questo che alcuni dei patetici personaggi di cui sopra sono conosciuti professionisti con la targa di ottone sul corso principale della città e io ancora mi arrabatto.
Tuttavia, ho fatto quello che la mia natura mi diceva di fare.
E credo di averci guadagnato in serenità e coerenza. Non mi sono mai dovuta guardare le spalle.
Anche le mie colleghe stanno un poco ai margini, come me: persone tranquille che cercano un bilancio tra lavoro e vita privata e famiglia, che non immolano tutte le proprie energie (fisiche ed emotive) sull'altare della carriera. Non hanno rimorsi, stanno a testa alta. E io sono stata bene con loro.
Mi sento di ringraziarvi tutti e tutte, per avere reso piacevole la navigazione in questi mari tempestosi.

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