martedì 14 marzo 2017

Prima o poi arriva

Io non so se quello che mi sta succedendo in questi giorni abbia un nome specifico o meno. Sindrome pre-mestruale, sbalzi d'umore stagionale, saudade, culture shock. Magari è di tutto un po'.
Ieri il malumore/malessere degli ultimi giorni ha raggiunto l'apice e la crisi è esplosa. In ambulatorio sono andata in panico e ho fatto una figura di merda col mio tutor. Sarà che mi avevano assegnato un compito che ritenevo al di sopra della mia portata, sarà che da alcuni giorni non ci dormivo al solo pensiero. Una prima visita in gravidanza, una paziente semplice dal punto di vista clinico, senza problemi. E però si trattava di compilare paginate di moduli, capire a chi inviarli, capire chi e come e quando avrebbe preso e dato i prossimi appuntamenti per visite ed analisi. E poi la visita ginecologica da svolgere, cosa che ho fatto pochissimo, e solo sotto supervisione durante gli anni di tirocinio. Ma quello è stato il meno, a quel punto ero già in crisi. Il tutor si è accorto che le mie guance stavano diventando sempre più rosse (maledette guance, non ci ho mai fregato nessuno... alla faccia di provare a farla franca durante gli esami!!!), e lui ha cominciato a venire sempre più spesso nel mio ambulatorio per chiedere se avevo bisogno di aiuto. Una volta congedata la paziente ho dovuto ammettere con me stessa e con lui che ero andata in panico. E per che cosa? Per una visita appena al di fuori della routine. A momenti non riuscivo nemmeno a chiudere il tappo di una provetta. Sono scoppiata in lacrime di fronte a lui, che -poveretto-cercava di tranquillizzarmi e rassicurarmi. "Tutto sta andando bene" -continuava a ripetermi- "tutto è sotto controllo, stai lavorando bene e stai crescendo dal punto di vista comunicativo e professionale". Niente, di fronte all'ineluttabile verità che i venticinquenni neolaureati tirocinanti sono molto più sicuri e indipendenti di me, io ero in crisi. Io sono in crisi.
Quando stai così il cuore ti dice una cosa, la testa te ne dice un'altra.
La preoccupazione delle enormi responsabilità che ci si è presi, nei confronti di sè stessi e della famiglia (strappare i bambini al loro nido, lasciare un lavoro sicuro, una bellissima casa nel Paese più bello del mondo, far patire questa decisione ai miei genitori, salutare gli amici) e la paura di non farcela prendono il sopravvento. All'inizio tutto il futuro è davanti, tutto può accadere e non ci si aspetta niente da te. Dopo sei mesi qualche risultato si deve cominciare a vedere, lo si deve cominciare a mostrare. Non si è più un foglio bianco tutto da scrivere. 
Va tutto bene, continuo a ripetermi, continuano a ripetermi. A 42 anni imparare una nuova lingua, cambiare tutta la propria vita, non è mica un gioco da ragazzi! 
E se a fine inserimento, fra otto mesi, non sarò in grado di lavorare in modo indipendente? chi mi vorrà? chi mi offrirà un contratto?
E se GF nel frattempo non troverà un lavoro, che cosa faremo? Valigie in fretta e furia e si torna con la coda fra le gambe? E cosa diremo ai bambini? "cuccioli, si torna a casa e dovrete arrabattarvi a recuperare l'anno di scuola italiana che vi siete persi!".
E poi quando vai in crisi qua, a chi lo racconti? Che fai, telefoni a casa e racconti a mamma che hai paura di non farcela? ...col timore di sentirti dire la frase più odiata da ogni expat? "ma che ti credevi, che erano tutte rose fiori? te l'avevo detto...". No no, la paura di sentirselo dire è troppo grossa. Eviti. "Tutto va bene, le giornate si stanno allungando anche qua, mamma, i bambini stanno bene e vanno a scuola felici".
Peccato che i piccoli mascalzoni quando li rimproveri per i capricci si mettono a strillare "voglio tornare in Italiaaaaa!!!! dai nonniiiii!!!", facendo leva su tutti i tuoi sensi di colpa. Come fanno a sapere perfettamente quali tasti toccare??

Il mio supercomprensivo tutor era tranquillo e sereno come una pasqua. 
"Prenditi il tuo tempo"- mi ha detto- "ai pazienti acuti ci pensiamo noi. Tu sei qui per imparare, non come forza lavoro. Adesso fai un bel respiro, finisci di compilare il diario clinico. E poi vai a casa e ti fai un bel bicchiere di vino rosso italiano".
Io mi sono scusata mille volte. Comportarsi così a 42 anni, che vergogna. Che figura di merda.

mercoledì 22 febbraio 2017

Ispirazioni

Appena tornata a casa da una giornata faticosa nella mia nuova vita lavorativa. Nuovo ambulatorio, nuovi pazienti, nuovi colleghi, nuova lingua. Nuovi standard, nuove mansioni. Nuove medicine. E’ come aver ricominciato da zero, da quando 15 anni fa ero appena laureata. Però con la padronanza di linguaggio di un decenne. 
Sull’autobus del ritorno leggo una proposta della mia amica Delia DezaYeppa: raccontare delle donne che ci hanno ispirato. E per me, sul momento, più che all’ispirazione, è venuto da pensare “ma CHI (cavolo) me l’ha fatto fare?”. Poi, pensandoci meglio...sì, chi mi ha ispirato a scegliere questa vita?

La prima che mi viene in mente è Maria Montessori. Chi non la conosce? Una delle prime donne medico in Italia, come potrei non pensare a lei?
Eppure, scava scava, mi viene in mente un libro che lessi tantissimi anni fa. Avrò avuto 8-10 anni, il libro era un volume vero, mica una roba da bambini. Il titolo non lo ricordo. Chissà da dove veniva, forse dalla biblioteca, forse da mia sorella. Fu una folgorazione, lo divorai. Parlava di una ragazza di buona famiglia, destinata ad una vita di agi come moglie e madre nella ricca borghesia inglese. Ma lei no. Studiosa, testarda, generosa, curiosa, rifiuta il fidanzato e decide di diventare infermiera, un mestiere che al tempo era agli ultimi gradini della scala sociale. Lei rivoluziona tutto, porta il metodo scientifico nella professione. Non paga di ciò se ne parte con alcune colleghe per la guerra di Crimea, a condividere pulci e diarrea con i soldati. Una che ha tenuto testa a generali, medici, politici, professori universitari. Una donna dall’apparenza fragile in un mondo maschilista, con una forza e una volontà da leone.

Io quando lessi quel libro pensavo fosse un bel racconto. Molti anni dopo scoprii che quella donna, che rivoluzionò un mondo e che trasformò l'infermieristica in una vera e propria scienza del “prendersi cura”, era esistita veramente. Si chiamava Florence Nightingale.

Quel libro ha seminato nella mia infanzia il desiderio di aiutare i malati. Ci sono voluti molti anni per scoprire che quel seme era germogliato nel silenzio del mio subcosncio e che aveva portato alla decisione di diventare medico.

Ecco qua la storia di Florence Nightingale: https://en.wikipedia.org/wiki/Florence_Nightingale

E grazie, Delia.

sabato 14 gennaio 2017

Medici danesi vs medici italiani, pazienti danesi vs pazienti italiani 1

Probabilmente è troppo presto per scrivere questo post, dal momento che ancora non mi sono completamente immersa nella realtà sanitaria danese. La mia timida incursione per ora è solo limitata ad un giorno di ambulatorio (medico di base, per chi non mi conosce) a settimana, e sempre come affiancamento al mio tutor. Non ho avuto ancora il "piacere" (!) di visitare da sola un paziente danese. Però comincio a farmi qualche idea e se non comincio a buttare giù le mie impressioni rischio di perdermi. Inoltre con questo post comincio a rispondere alle tante domande che mi sono state fatte da amici e colleghi durante le vacanze italiane.
La mia frequentazione di gruppi di medici di famiglia su facebook continua a ricordarmi quanto sia stridente il confronto tra le due situazioni sanitarie. PREMETTO: il confronto è IMPIETOSO. Ovvio che si tratti di miei pensieri e interpretazioni personali: chiunque esprima una sua opinione, qualsiasi sia l'argomento, ci mette dentro tutto il suo background e il suo vissuto. E ovvio anche che mi dispiaccia fare la solita figura dell'espatriata che dall'estero pratica lo sport di dire male dell'Italia, che in fondo mi ha comunque cresciuta e fatto essere ciò che sono ora. Però non mi rompete le palle scrivendomi che sono ingiusta con la mia Patria, a meno che non siate medici di famiglia italiani che lavorano in DK. 

1) I medici danesi lavorano 37 ore a settimana. La separazione tra vita e privata e lavoro è SACRA, non esiste al mondo che ci siano incursioni di pazienti nello spazio che il medico riserva alla sua famiglia. Un medico italiano è tenuto ad essere reperibile 12 ore al giorno. Questo porta i pazienti a sentirsi autorizzarti a chiamare SEMPRE nel corso della giornata. E per qualsiasi cazzata (mentre la reperibilità sarebbe per urgenze...non per farsi prescrivere la terapia cronica). Sia mentre stai facendo ambulatorio e sei nel mezzo della visita di altri pazienti, sia all'ora di pranzo (ore 13,30: "dottore ho pensato di chiamare a quest'ora perchè magari in questo momento è un po' più libero" ...sì, di pranzare!), sia ovviamente mentre sei in bagno, arriva lo squillo malefico. Non rispondi subito? continuano a tempestarti. Li richiami? "ah dottore, che fatica a rintracciarla!". Molti iniziano a chiamare alle 7 di mattina, se non hai l'accortezza di spegnere il cellulare di notte. Moltissimi si sentono autorizzati a chiamare la domenica, perchè ritengono che la guardia medica non sia abbastanza competente, ..." e poi, dottore, io mi fido solo di lei". Ammetto che la responsabilità è anche di coloro che permettono di tutto ai propri pazienti, li abituano ad un rapporto non professionale, ma amichevole. La diagnosi on demand: con whatsapp i pazienti mandano senza ritegno foto di gole e genitali. Colpa anche dei medici-zerbini, che ricordano con nostalgia i bei vecchi tempi dei medici condotti, di campagna o della mutua, mentre il mondo è completamente cambiato e se non si arginano le pretese dei pazienti non si ha più una vita. Non è cinismo. E' inutile fare gli zerbini e poi andare in burn-out dopo 10 anni, non si fa un buon servizio nè a se stessi, nè alla comunità. Qui in DK si finisce alle 16. Si torna a casa, si sta con i cari. Si è tutti più sereni.

2) Ogni paziente chiama prima di andare in ambulatorio, e prende appuntamento. Se si tratta di un'urgenza, chiama dalle ore 8 alle ore 9 e generalmente gli si trova un posto in giornata. Oppure ogni ambulatorio riserva un giorno alla settimana ai pazienti urgenti, che comunque devono sempre chiamare prima di andare in ambulatorio. Ogni paziente ha un tempo limitato. Di solito 10 minuti. Direte: ma è poco! No, se non ci si perde in chiacchiere. Italia: ogni paziente viene e ti snocciola 5 o 6 problemi (dottore ho mal di gola. Ah, visto che sono qui mi misura la pressione? E poi mi segna le medicina per la vicina di casa? Ah...ho trovato nel cassetto queste analisi, mi ero dimenticato di portagliele, me le controlla?), ti parla di almeno un familiare (moglie, marito, sorella, figlio, fratello). Danimarca: si viene per 1 problema alla volta. C'è da dire che i risultati delle analisi e esami strumentali e lettere di dimissioni arrivano direttamente sul computer e quindi non c'è tutto il viavai di pazienti con referti in mano come in Italia. In DK il medico non misura pressioni, non fa tamponi faringei, né prelievi. Ci pensano le segretarie. Nel momento in cui un paziente ti entra in ambulatorio vedi già la sua pressione, la PCR (=proteina C reattiva, un indice di flogosi che può aiutare nella distinzione tra infezioni virali e batteriche), la sua glicemia, le sue analisi. Ci si focalizza prima sul problema, si visita, si ha anche tempo per fare empowerment del paziente.

3) Qua non ho MAI, MAI visto una sola volta pazienti entrare e dire "dottore, mi DEVE segnare ... (analisi, medicine, esami, impegnative per specialisti)". Qua il paziente viene, espone il suo problema e aspetta che sia il medico a proporre terapie, test, approfondimenti. In Italia il 60% delle visite inizia con la richiesta di cui sopra. Non vi dico poi il giorno dopo delle trasmissioni a tema "medico" in tv: ognuno crede di essere affetto da questo e quello e pretende di fare tutti i test del caso. O magari "la parrucchiera mi ha detto che quella medicina è taaaaanto meglio di quell'altra e allora la voglio pure io!". E se non gliela dai si incazzano. E se non gliela segni "con la nota" o in fascia A (=per non pagare), si incazzano. E se poi non funziona, si incazzano. Con te, mica con la parrucchiera!

4) Qua le visite domiciliari sono casi ECCEZIONALI. Ora, non voglio dire che questo sia giusto a prescindere dai casi. Chiaro che se uno è immobilizzato a casa ha diritto ad una visita domiciliare. Ma in Italia si è COMPLETAMENTE perso il senso della misura. E in questi periodi di influenza si raggiungono picchi di follia indicibili. Richieste di visita per giovani sani con febbre da un giorno, per capogiri, per debolezza, per raffreddori. "Dottore, mica vorrà farmi uscire con questo freddo?", "Dottore, se non viene a vedere mia madre (per la quarta volta in un mese) dovrò portarla al pronto soccorso" (ah, per portarla al PS la fai uscire?). In Italia i vomiti sono sempre incoercibili, le diarree sempre al limite della sopravvivenza, le tossi insopportabili, le stanchezze eccezionali, i mal di gola allucinanti. Le influenze sono sempre "io non sono mai stato così in vita mia!", anche a 50 anni. Qua in DK ho visto una vecchietta di 87 anni e 39 chili, venire con le sue gambe (e il deambulatore) in ambulatorio, dopo 7 giorni di vomito e diarrea, con la febbre, dopo aver perso 6 chili. Spedita in ambulanza al pronto soccorso per disidratazione, ma venuta con le sue gambe! L'accordo collettivo nazionale italiano prevede le visite domiciliari per i pazienti che non si possono muovere da casa. Con questo si intendono i pazienti allettati, o con handicap, quelli estremamente anziani. La febbre NON è un motivo per non poter uscire di casa (anche per i bambini, sì!!), come non lo è la "fiacca", o non avere la macchina (!!!!). L'influenza c'è anche in Danimarca in questa stagione. Non è arrivata UNA SOLA chiamata per visita domiciliare. La gente, se proprio non può aspettare il decorso della malattia, si prende una Tachipirina e viene in ambulatorio. Se non ha la macchina, si piglia un taxi. Da noi se non vai ti minacciano di chiamare i carabinieri. Alternativa: finisci per prescrivere antibiotici a casaccio al telefono, per evitarti di fare 30 domiciliari al giorno (vedi il punto 6). Oppure i pazienti vanno ad intasare i PS e succede (regolarmente, tutti gli anni) il casino mediatico. In Italia è sempre EMERGENZA influenza, una delle più temibili e rare malattie del mondo.

5) Non ho MAI visto mettere in discussione la decisione del medico. I pazienti qua si fidano. Vengono per un problema da un professionista esperto nella materia e si fidano, come di solito ci si dovrebbe fidare di uno che ne sa di più di noi, sennò che ci si va a fare? In Italia siamo tutti allenatori di calcio... e tutti medici. Nel 90% dei casi, quando proponi un percorso terapeutico o diagnostico, il paziente conosce sempre una soluzione alternativa, che gli è stata proposta dal vicino di casa o dalla cassiera del supermercato: "dottore, con la Mafalda ha funzionato XXX, perchè non me lo fa fare pure a me??". Per non parlare di quel 5% dei pazienti che proprio si incazzano, ti fanno le piazzate, ti insultano, ti minacciano... specialmente se sei una donna. Vi sembra che esageri? chiedete a qualsiasi medico voi conosciate, chiedetegli non SE, ma QUANTE volte è stato minacciato, sia fisicamente che verbalmente. Resterete sorpresi.

6) Si usano meno farmaci. Ma meno meno meno, eh. Pazienti in terapia con più di 3-4 farmaci sono rari, pur avendo condizioni patologiche gravi. In Italia i pazienti anziani con più di 4-5 farmaci in terapia cronica sono la norma. Qua i farmaci si pagano, a meno che non si soffra di una patologia cronica (ipertensione, diabete) e solo i farmaci per quella patologia. Antibiotici? si pagano. FANS? si pagano. Cortisone? si paga. Superato un tetto annuale di spesa (circa 140 euro) poi lo Stato rimborsa. Sarà per questo, sarà per una maggiore oculatezza, mi sembra che però si abusi molto meno di quanto si faccia in Italia. I pazienti non chiedono, i medici prescrivono poco. Ho letto non pochi commenti di Italiani in Danimarca che si lamentano che "a meno che non stai per morire il medico l'antibiotico non te lo segna!!!"). Certo, in Italia siamo abituati a prescrivere antibiotici al telefono, e sempre col "salvastomaco" perchè TUTTI da qualche anno a questa parte credono di avere la gastrite, e "un po' di cortisone dottoreee non me lo segna?", e noi medici italiani giù a segnare. Un po' perchè siamo esasperati, un po' perchè delle linee guida ce ne freghiamo, un po' perchè pur di far smettere quel caxxo di telefono di suonare siamo disposti a qualsiasi cosa. E poi ci ritroviamo con le più alte percentuali europee di antibioticoresistenza. Sono 2 mesi che ho iniziato ad andare in ambulatorio qua in DK. Non ho MAI visto una sola volta prescrivere il cortisone al di fuori delle malattie reumatiche o allergiche. Colleghi italiani... quante volte avete visto in Italia un paziente con bronchite o polmonite senza il suo bel Bentelan o Deltacortene in tasca?

7) Qua il medico fa il medico. Fa diagnosi, prescrive terapie. Mansioni infermieristiche (prendere pressioni, glicemie, fare prelievi, cambiare cateteri, fare medicazioni semplici, valutare parametri di crescita nei bambini...) sono svolte da infermieri. C'è una stretta collaborazione tra medico di famiglia e infermiere di famiglia. Ognuno ha il suo ruolo, il suo spazio e la sua dignità professionale.

8) La gestione delle urgenze. Qua per andare in Pronto Soccorso bisogna prima chiamare. Se, e SOLO SE, si ritiene di avere una condizione per cui si rischia la vita (un infarto, un ictus), si chiama l'ambulanza che ti viene a prendere. In tutti gli altri casi, si telefona, si parla con un operatore (esperto in triage telefonico) che, se ritiene che non sia una reale urgenza, ti dice di aspettare il giorno successivo e andare dal medico di famiglia, se ritiene sia un'urgenza ti dà l'appuntamento per il PS. NON si può andare in PS autonomamente e senza appuntamento. Anche il medico di famiglia, prima di inviare in PS, deve chiamare, esporre il caso e prendere appuntamento per il proprio paziente. Risultato: nei PS danesi non avvengono e non avverranno MAI situazioni come quelle apparse a Nola nelle scorse settimane. Devo dire che, con mio figlio che si era appena tagliato un dito e sanguinava molto, sono stata 20 minuti al telefono ad aspettare il mio turno per parlare con un operatore. A quel punto mi sono stufata e mi sono arrangiata con quello che avevo in casa. In Italia sarei corsa in PS per fargli dare i punti.

9) Chiudo richiamando il punto 1 e cioè il confronto per me più importante, più sorprendente, più stridente: i medici di famiglia danesi sono sereni, rilassati e contenti del loro lavoro. In Italia NESSUNO dei miei Colleghi (specialmente quelli più anziani) è così sereno. Sarà che il nostro sport nazionale è la lamentela (...e mi ci metto anche io, tant'è che me ne sono andata!), ma parlare con un medico di famiglia in Italia è assolutamente deprimente, sconcertante, sconfortante. I medici di famiglia italiani sono o squali senza scrupoli, o vittime in burn-out, o eroi che pensano ancora di essere ai tempi de "La cittadella"... e poi regolarmente si bruciano le ali. Sperano nella riconoscenza dei pazienti come risarcimento dei loro sforzi, in una visione romantica e antiquata della propria figura professionale. E quando puntualmente la riconoscenza non arriva, rimangono feriti, delusi, frustrati. Se si lavora per ottenere riconoscenza, si è proprio sbagliato tutto. Molti cercano di trovare le proprie soddisfazioni professionali in altre attività: politica, volontariato, insegnamento. La sanità italiana è continuamente sotto accusa. Non c'è alcuna stima professionale tra colleghi. Una continua accusa reciproca di incompetenza, una guerra tra poveri (eticamente) assolutamente penosa. I miei colleghi danesi sembrano contenti di ciò che fanno, anche dopo 30 anni di professione. Questo è per me molto, molto confortante.

Qualcuno troverà un po' ciniche alcune mie affermazioni. Io penso che fare il medico NON sia una mission, ma una professione con un grande impegno etico certo, ma non una missione. E poi, guarda caso, quelli che mi hanno detto "eh... ma se per te non è una missione, hai sbagliato mestiere!" sono quelli che più di tutti abusano della mia disponibilità. Linko qua un post che nella sua sguaiata violenza verbale mi ha fatto tanto ridere (ma la realtà è proprio questa!): https://nessunodicelibera.wordpress.com/2015/02/22/nemmeno-le-puttane/

La nostra medicina generale, gratuita per tutti come credo nessun'altra in Europa, disponibile 24 ore su 24 ore, è bellissima, ma non è più sostenibile. E' triste dirlo, ma è una costatazione.  Alla prossima puntata.

lunedì 19 dicembre 2016

La figaggine

Comunque, un capo che mi telefona e mi messaggia insistendo per mandarmi in vacanza un giorno in anticipo perchè altrimenti rischiamo di trovare troppo traffico ad Amburgo e sai, coi bambini in macchina può essere dura... beh, io tutta 'sta figaggine non l'avevo MAI MAI MAI provata.

God jul!!

lunedì 5 dicembre 2016

Jul

I danesi vanno matti per il Natale.

Che poi non si chiama nè Natale, nè Christmas, ma proprio Jul. Già la parola ha poco a che fare con la religione, in quanto Jul è l'antica festa della luce pre-cristiana. Insomma, si festeggiava il solstizio d'inverno (...o giù di lì), il giorno più corto dell'anno, augurandosi la luce e il ritorno alle giornate più lunghe. Il Natale cristiano si è poi sovrapposto a questa festa antichissima, facendola sua: la nascita di Cristo rappresenta la luce che torna nel mondo, e proprio per questo si è deciso che fosse proprio intorno al solstizio d'inverno.

QUANDO?
I festeggiamenti cominciano all'inizio di novembre. Sì sì, appena smontati i ciaffi di Halloween, si parte con i ciaffi natalizi. Visto che Cristo non c'entra, non si trova un presepe manco a pagarlo oro. Angeli, comete, magi... niente. In compenso, visto che si tratta di una festa della luce, le luminarie ce ne sono a pacchi. La casa del nostro vicino sembra un centro commerciale. Qua vanno forte Julemand (=Babbo Natale) e Julenisser, che non sono i piccoli aiutanti di Babbo Natale, ma folletti dispettosi. Anticamente nelle campagne era bene tenerli buoni offrendo loro una ciotola di porridge e qualcosa da bere, altrimenti avrebbero fatto dispetti agli animali della stalla e agli abitanti della fattoria.
L'ultima domenica di novembre comincia l'Avvento: Julemand arriva, porta i regali ai bimbi e accende gli alberi di Natale. Qua a Hjerting (sobborgo di Esbjerg) abbiamo festeggiato il Natale paesano il... 20 novembre!!

JULEFROKOST
In teoria significa "pranzo di Natale", ma è una cena. E NON si fa a Natale!
Pure per questa, i danesi si preparano con anticipo, fosse mai che si arriva impreparati all'ultimo. Si comincia ad organizzare a partire da agosto. Sì sì, agosto, avete letto bene. Agosto. Si festeggia dai primi di novembre in poi esclusivamente coi colleghi di lavoro (i familiari e partner sono esclusi), ci si ubriaca generalmente come le nocchie a suon di snapps (=cicchetti di acquavite), juleøl (=birra prodotta esclusivamente nel periodo di Natale, a gradazione doppia) e vino. Si raccontano storielle triviali, si fanno scherzetti zozzi e giochetti volgari, si cantano canzoncine sguaiate, specialmente coi capiufficio, che per l'occasione dismettono la veste seria e si sbragano. Mi è stato riferito che spesso le corna (...non quelle delle renne) si sprecano. Avete presente la festa di Natale nel film "Love actually?". Ecco, tipo. Tanto il giorno dopo non si ricorda più niente nessuno. Devo dire che lo julefrokost cui ho partecipato è stato tranquillo: brindisi e balletti a gogò, ma niente di particolarmente pruriginoso.

A SCUOLA
Si arriva quindi alle festicciole nelle scuole. Oohh, ecco una cosa che mi è particolarmente piaciuta. In Italia ho partecipato (da bambina) e assistito (da mamma) a un sacco di recite di Natale. Di solito i bambini fanno prove infinite per dire 2 battute in una sceneggiata di cui generalmente non capiscono il senso, imparano qualche canzoncina o spesso semplicemente piangono sul palco. Tutto è una gran vetrina per mostrare ai genitori quanto hanno lavorato a scuola. I genitori un po' sbuffano, un po' sgomitano per riprendere i figli, un po' guardano l'orologio, un po' si commuovono.
Beh qua invece c'è la festa. I genitori vengono invitati in modo informale a festeggiare l'arrivo di Julemand. Si arriva all'ora solita in cui si ritirano i bambini (circa le 16), si sta insieme ai propri figli seduti ai tavolini della classe. Il maestro chiede ai bimbi se vogliono cantare una canzone, decidono al momento quale e... via, si canta tutti insieme. Chi la sa, chi non la sa, chi fa finta, genitori e figli insieme. Pietro ha cantato in danese e io a momenti mi commuovo. Vengono offerti gli immancabili caffè e ableskriver (=frittelle di Natale) con marmellata di ciliege, ci si impasticcia di zucchero a velo insieme ai bambini. Si ritagliano un po' di decorazioni tutti insieme. Arriva Julemand, propone qualche altra canzone ai bambini. Un maestro improvvisa due accordi di chitarra. Due Julenisser accompagnano Julemand: sono due ragazzine di circa 10 anni, spigliate, sorridenti. Non se la tirano, non fanno nè le vergognose nè le fighette: coinvolgono i piccoletti dell'asilo, fanno scherzetti a Julemand. Julemand tira fuori gli immancabili dolcetti e caramelle per i bimbi, e via. La festa è finita, andiamo a casa.
Mi è piaciuto, molto. Sia il carattere rilassato dell'occasione, sia il fatto che fosse veramente una festa PER i bambini. I genitori erano ospiti e non spettatori.

IL COMUNE
L'accoglienza che questa città fa alla comunità straniera secondo me è straordinaria. Ieri siamo stati al Potluk (=pranzo condiviso) di Natale, organizzato dal Newcomers Office di Esbjerg. Un grande salone, con tavole apparecchiate e decorate. Tutte le famiglie straniere sono state invitate, ognuno ha portato i piatti della propra tradizione. E poi glogg, birra, ris-à-l'amand (=budino di riso, dolce tipico natalizio danese) caffè e bevande per tutti. Due laboratori organizzati per far divertire i bambini. Giochi e regalini per grandi e piccini. L'immancabile arrivo di Julemand. Tutto per coinvolgerci e incontrarci, passare una giornata piacevole con altre famiglie, conoscere le tradizioni danesi. Tutto messo a disposizione dal Kommune. Figata.

JUL
Il 24 dicembre è Jul. Si festeggia rigorosamente in famiglia. I danesi, anche se non religiosi, vanno in chiesa di pomeriggio. Poi alle 18 circa inizia la cena a casa, dove si mangia tradizionalmente l'anatra arrosto. Si scartano i regali dei piccini, si canta facendo il girotondo intorno all'albero. I bimbi vanno a dormire, i grandi giocano, cantano. Il Natale è famiglia, per tutti, anche qua.
E il 25 dicembre che si fa? Niente. Niente niente niente. Ci si riposa, ci si riprende dalle bevute della sera prima, si digerisce. Jul è finito. Non c'è Santo Stefano, ci si prepara già per l'ultimo dell'anno. Il 1 gennaio le feste di Natale sono concluse.

martedì 29 novembre 2016

Danesi, colleghi, tutor

E' già un mese che non scrivo!
Non riuscirò mai a mettermi a pari.
Domani avremo il nostro primo modultest di danese. Gli insegnanti ci assicurano che si tratta di una formalità, però un test è sempre un test, no?

Come faccio a riassumere tutto quello che è successo ultimamente?
Farò un elenco. Perdonatemi la scarsa poesia.

1) Il danese. IL DANESE!!
Urca se è difficile impararlo. Imparare una nuova lingua a 42 anni è parecchio straniante. Ti ritrovi a esprimerti per ore e ore con: "Il gatto. Sta. Sul tetto" o roba del genere. Parli come un bambino di 3 anni, anzi, peggio. Quando andiamo a prendere Pietro al bornehaven (=l'asilo) a volte i mocciosi ci chiedono qualcosa e noi rimaniamo come ebeti a guardarli senza capire niente. Qualsiasi concetto anche minimamente articolato è una montagna ripidissima. Mettere correttamente in ordine le parole in una subordinata è un giro sull'ottovolante.
Cazzo, mi sento fighissima perchè finalmente PENSO in inglese, e non  basta. E' come essere soddisfattissima per aver perso 20 chili e poter rientrare  nella taglia 42, e... cazzo, la nuova 42 è la 38.

2) I miei colleghi di corso.
Ci sono altre 2 coppie di medici: una dalla Polonia, e una da Cuba (emigrati in Spagna da circa 12 anni). Ti senti fighissima perchè parli italiano, francese e inglese e capisci un po' di spagnolo. Dopo 5 minuti che li hai conosciuti ti senti una merda, perchè questi qua parlano tutti 5 lingue. Una bella dose di umiltà, ci vuole. L'affinità dei mediterranei non è una leggenda metropolitana, comunque, c'è poco da fare. I cubani/spagnoli per ora sono quelli con cui ci troviamo meglio. Hanno alle spalle storie che a raccontarle ci vorrebbe una vita a parte. I polacchi invece sono convinti che io e GF siamo dei mafiosi in trasferta e noi glielo lasciamo credere. In generale è comunque un'esperienza molto stimolante stare seduti alla stessa tavola con cubani, polacchi, svedesi, danesi, portoghesi, cileni, venezuelani, inglesi, rumeni. Un ragazzo rifugiato afgano, ex-chirurgo per MSF, dice poco e ha tutto un mondo già alle spalle.

3) Il GAP culturale.
C'è? Non c'è? Sì e no. 'Sti danesi sono gentili, hanno un'ironia dark interessante, sono rigidi come tronchi su certe cose, supertolleranti su altre. Guidano di merda e hanno auto da schifo, ma rispettano sempre i limiti. Bevono come le spugne alle feste, ma reggono l'alcool come io non ho mai visto. E prendono rigorosamente il taxi se hanno bevuto. Sono vicini a noi, sono europei, ma la loro storia è molto molto diversa dalla nostra. Hanno difficoltà anche solo a esprimere a parole il concetto di "avanti Cristo".
Un episodio mi ha particolarmente colpita.
Dopo 2 settimane dall'inizio del corso io e una collega abbiamo avuto un brutto raffreddore, un po' di febbre e tosse. Siamo andate lo stesso a lezione, che per noi al momento è come andare al lavoro, perchè siamo pagati per questo. Siamo stati cazziate pesantemente. Se si sta male SI DEVE stare a casa, è PROIBITO andare al lavoro, perchè si rischia di trasmettere malattie ai colleghi. Figurati, e io che pensavo di fare il mio dovere. Figurati, e io che in Italia sono andata a lavorare anche con la febbre a 39 sennò i capi mi richiamavano. Qua anche se tuo figlio sta male, telefoni al capo e stai a casetta tua. Niente certificati, giustificazioni, richieste in carta bollata. "Qua il rapporto di lavoro è basato sulla fiducia", ci hanno risposto. E mi viene da pensare alle polemiche annuali sulle assenze sospette dei vigili romani sotto le feste di capodanno, ai certificati falsi di malattia e tutto il baraccone.

4) Il mio tutor e colleghi.
Venerdì inizierò, un giorno alla settimana, ad andare nella mia practice. Il mio tutor intanto si premura di farmi sentire a mio agio ancora prima di cominciare. Un invito a casa sua con tutta la famiglia per un caffè in giardino, una visita ai cavalli insieme ai bimbi, due chiacchiere rilassate. Qualche telefonata per chiedermi come stanno i bimbi, se la scuola è partita bene, se abbiamo bisogno di qualcosa. Quasi un mese fa annuncio una visita alla practice per un saluto, e mi invita a pranzo fuori (pranzo di pesce), insieme ad un collega. 4 ore di chiacchiere, di spiegazioni, di cultura e storia danese, di curiosità. Una settimana dopo sono stata invitata allo Julefrokost (=il pranzo di Natale. Sì, un mese prima...lo so. Julefrokost è un'istituzione, l'occasione più importante dell'anno per qualsiasi azienda/ufficio, il momento più alto di convivialità del gruppo-lavoro). Un rito di passaggio. Un onore. Sono stata pomeriggio e serata con 16 sconosciuti, che parlavano tutti danese. Millemila brindisi e scherzetti e giochini. Tutti che mi hanno salutato, accolto, dato il benvenuto. E il mio tutor seduto vicino a me che mi raccontava, spiegava, indicava, traduceva. Se penso al mio professore di malattie infettive che in 4 anni di specialità non mi ha mai neanche pagato un caffè, con cui non ho mai scambiato neanche un'opinione personale*. Boh. Ragazzi. Io non ho parole. Spero di essere all'altezza di tale accoglienza, veramente.

*Per dare a Cesare quel che è di Cesare, comunque, il mio tutor (NB.: NON il professore, eh) a malattie infettive, A.G., è stato invece un meraviglioso e disponibile collega. Con lui sì, che abbiamo fatto mille belle chiacchierate.

domenica 16 ottobre 2016

Lunchbox, altro che passione

Non avrei mai creduto di poterlo dire, ma mi ritrovo a rimpiangere le mense scolastiche italiane. Ebbene, sì, dopo aver partecipato allo sport nazionale della mamma lamentosa all'uscita della scuola, dopo aver detto la mia su "mangiano troppa XXX e troppa poca YYY" (e al posto delle incognite metteteci quello che vi pare), adesso ricordo con nostalgia i tempi in cui qualcun altro provvedeva ai pranzi dei bimbi.
Qua niente mensa, niente cuoche amorevoli, niente inservienti attenti, niente pasto caldo.
Qua c'è il LUNCHBOX.
All'inizio sembra una novità divertente: "Ah, adesso sì che avrò il controllo su quello che mangiano i MIEI figli!". Vai da Tiger* e cerchi il bento-box più cool, immaginando i meravigliosi pasti giapponesi dei film di Miyazaki.




La realtà è diversa: i bambini hanno FAME. Io non so se i bambini giapponesi, così magrolini, riescono a stare dalle 8 alle 16 con quelle scatolettine là, ma i miei figli italiani, cresciuti a vincisgrassi e porchetta, con quelle due cazzatelle colorate ci fanno l'aperitivo. Ci vuole una scatola GROSSA, capiente, che non si apra al primo lancio di zaino e che possa contenere un pranzo e una merenda.
Qua la policy delle scuole sconsiglia fortemente (per non dire VIETA...qua la parola "vietato" viene spesso sostituita da complicati giri di parole per non sembrare troppo definitivi) di fornire junk food o dolci ai bambini. E vabè, su quello c'ero arrivata anch'io, le caramelle per pranzo non sono il massimo. Purtroppo non c'è la possibilità di riscaldare i cibi, neanche col microonde, per cui bisogna prevedere cibi appetibili anche freddi. Infine devo tentare di preparare cose che si mangino facilmente, possibilmente con le mani (oppure devo fornire forchette o cucchiaino, che rubano spazio). Niente minestre o zuppe, che se si rovesciano fanno un casino. Insomma, i cappelletti in brodo o la parmigiana di melanzane non sono adatti.
Il risultato è che ogni mattina mi tocca svegliarmi mezz'ora prima per preparare i lunchbox, scervellarmi per inventare menù sani e gustosi e variarli il più possibile. Ricordo i primi tempi dell'università, quando ancora non avevo capito che era meglio andare in mensa e prendevo un panino al bar ogni giorno: dopo 2 anni ho sviluppato una gastrite che ogni tanto mi fa una visitina ancora oggi.
Oh ragazzi, io ci provo.
I miei lunchbox prevedono sempre un elemento principale di carboidrati + proteine (es.: insalata di pasta con verdure, riso con piselli e carote, un panino integrale con insalata e crema di tonno, un uovo sodo, insalata di legumi), verdura da mangiare cruda (ad es.: sticks di carote o cetriole, pomodorini, cavolfiori crudi), frutta fresca, frutta secca (mandorle, noci, nocciole), a volte hummus, a volte yogurt greco con miele e mandorle, a volte un salatino di sfoglia con prosciutto e formaggio.
A volte è proprio la morte delle idee e gli faccio un panino col salame e sticazzi. Ho deciso di fare del mio meglio, ma anche di non sentirmi troppo in colpa se a volte gli dò una semischifezza. Che poi noi degli anni 70 a panini col salame ci siamo cresciuti.

Emma e Leo hanno il doposcuola dalle 14 alle 16, che prevede che facciano non una, ma ben 2 merende. Aggiungo un frutto per ciascuno e una fetta di torta che di solito faccio la domenica e cerco di far durare qualche giorno. In mancanza della torta, vado di minisandwich o biscotti.

Che stress! alla fine dell'anno scolastico in Italia ero stremata dai loro compiti, quassù sarò stremata dai lunchbox.

Lunedì: Muffin di carote e mandorle, insalata di pasta con pomodoro e feta, stick di carote, spicchi di mele, uvetta

Martedì: Salatino prosciutto e formaggio, cavolfiore crudo, banana, mandarino, mela, stick di parmigiano, fettine di banana secca

Mercoledì: Insalata di ceci e pomodori, stick di carote, fetta di pane integrale, spicchi di mela, noci

Giovedì: Panino con salsa di tonno e insalata, panino con mascarpone e marmellata, banane, pomodorini, noci, banane secche

Venderdì: Muffin carote e mandorle, pomodorini, uva, banane secche, sandwich con hummus e insalata


* Ho scoperto che Tiger è una firma danese, che si pronuncia Tier e che significa non solo "tigre", ma anche "a spende poco".