domenica 24 luglio 2016

L'infinito

Alla radio, mentre guido, c'è una canzone che improvvisamente evoca i miei 18 anni. E nei 3 minuti della canzone mi scorre davanti l'ultimo anno di liceo, quando sapevo che avrei voluto fare il medico, anche se ancora non avevo ancora idea di cosa significasse.

Gita di fine anno nella festosa Spagna degli anni 90: la prima volta all'estero senza genitori.
Mi sentivo libera, libera libera e piena di vita. Le mie prime trasgressioni, che a pensarci adesso mi inteneriscono, che a confrontarle con quelle di un attuale quattordicenne sembrano ridicole: le sigarette, i (tanti) bicchieri pieni di ghiaccio e Grand Marnier o Cointreau, o vodka, passare la notte nella camera dei ragazzi, con i professori che facevano la ronda fuori della porta, il gioco della bottiglia, obbligo o verità. Quella camicetta trasparente che mettevo per andare in discoteca, il bagno vestiti nella piscina dell'hotel, il tuffo nel Mediterraneo gelido con la paura della punizione degli insegnanti. C'era una frenesia, una voglia di correre, di scappare in avanti, una curiosità di guardare al di là della siepe che non ho provato mai più in modo così travolgente, ingabbiata successivamente nei miei tomi universitari e nel rigore autoimpostomi nello studio. C'era un turbamento e un languore che mi struggeva e mi eccitava e stravolgeva; c'era una sensualità che comandava ogni nostro gesto di tardoadolescenti e ci faceva sentire temerari e sfrontati. Dormivamo pochissimo, bevevamo tanto, ci sfioravamo, ci guardavamo negli occhi, c'erano silenzi lunghissimi e risate fragorose. Il sesso non aveva ancora svelato tutti i suoi misteri, eppure c'era sesso ovunque, in ogni tocco e sguardo e ammiccamento. Non si poteva, non si doveva superare il limite, e compensavamo con sguardi che ci davano i brividi. Tanta vita è venuta dopo, i successi e i fallimenti, le soddisfazioni professionali, la disperazione e la solitudine, il tradimento dei valori e delle amicizie, la deprivazione emozionale, lo stordimento di storie e persone che andavano e venivano. E il sesso: non più immaginato, il trasporto della passione o la noia della consuetudine, l'amore rabbioso e quello dolce, gli amorazzi di una serata, il piacere e anche, talvolta, il fastidio. E poi l'amore finalmente pieno e totale, il compimento di una strada tortuosa iniziata da tanto, la famiglia, vedere sè stessi moltiplicati negli occhi dei figli. Ma solo poche altre volte mi è accaduto di vivere l'esaltazione febbricitante di quella settimana di vacanza, quando tutto il mondo era a portata della mia mano, tutto era possibile perchè tutto era immaginabile.

Ieri GF ha compiuto 42 anni, e fra poco li compirò anche io. Abbiamo avuto una rara occasione di relax in questi giorni frenetici, una sdraia sotto le stelle, la vista del mare, della luna, delle nostre Marche, che fra poco saluteremo, una birra fresca in mano e una musica easy nelle orecchie. Eravamo al compleanno di un amico di sempre: 50 anni.  E ho pensato che una volta si andava alla gran festa dei 20 anni, mentre ora cominciano le feste per i 50.
Io gli anni che ho non me li sento, dentro. Il fisico, quello sì, è uno sfacelo, ma se dovessi azzardare la mia età direi che ho 28 anni. L'età in cui mi sono liberata delle regole familiari e ho avuto obblighi solo verso me stessa, ma con tutto il futuro davanti e tanti anni per realizzarlo. Sento che tutto può essere, tutto POSSO essere. E' stata una serata dolce, c'era il profumo dell'estate e quella brezza di mezzanotte che ti rinfresca l'appiccicaticcio dell'afa diurna. GF era vicino a me e ho rievocato quella sensualità dei 18 anni, la stessa esaltazione. E GF sempre, da sempre e per sempre nei miei occhi, oggi come allora.

No, non ho più 18 anni, nè 28. Ci sono momenti in cui mi dico: "sono amica di B. da 30 anni, ho questo ricordo di 35 anni fa..." sorprendendomi io stessa di queste cifre. E però io sento che ancora tanta parte del mio futuro è là, oltre la siepe, e io, Noi, stiamo per andare a prendercelo.

sabato 16 luglio 2016

Io e le mie colleghe

Meno un mese alla partenza. Si comincia a mettere in ordine, raccogliere scatoloni, buttare quello che non serve più.
E ovviamente in questa operazione di decluttering non possono mancare bilanci e riflessioni.

Ieri sono stata a cena con le mie colleghe-amiche, per dirci arrivederci. Siamo state proprio bene, chiacchiere, aneddoti, pettegolezzi e risate. 
Sono stata proprio fortunata, dal punto di vista dell'ambiente di lavoro, in tutti questi anni. Sono sempre stata circondata da persone disponibili e collaborative, pronte a darsi reciprocamente una mano quando c'era bisogno. Sia durante gli anni della specializzazione a Ferrara, che durante gli anni della medicina generale e della guardia medica non ho mai sperimentato prevaricazioni e divisioni e so che questa è una vera rarità.
Ho riportato tante volte su questo blog lo sconforto di un lavoro a tratti insoddisfacente, la mia rabbia per le ingiustizie o le indifferenze di dirigenti poco oculati, il dispiacere del sentirmi poco apprezzata.
Ebbene, in un mondo così, l'environment diventa ancora più importante, addirittura fondamentale per tirare avanti. E, lo ripeto, io sono stata proprio fortunata. Con le mie colleghe e colleghi ci siamo sempre dati una mano, sia professionalmente che umanamente, non è MAI capitato un episodio spiacevole, una recriminazione o un'accusa. Non oso neanche immaginare che inferno sarebbe potuto essere se fossi capitata (e capita, capita...) tra colleghi invidiosi a fare lo slalom tra dispetti e sgambetti professionali.
Ricordo benissimo gli anni dell'università, dove certi patetici personaggi ti guardavano in cagnesco anche se facevi solo un esame più brillante del loro, o che ti sgomitavano in corsia per attirarsi le attenzioni del professore di turno. Io fin da allora sono sempre stata un'outsider, una che tirava dritta facendosi i fatti suoi. Ma tra medici dicono sia importante (o forse necessario) stabilire una rete di conoscenze, costruirsi ad arte rapporti (spesso a soli fini utilitaristici) di reciproco scambio (=do ut des) per poter sempre dire "io sono amico di...". Salvo poi ritrovarsi col culo per terra appena il tuo "amico" si scorda di te se/quando gli fa comodo.
Sarà per questo che di tutti i 100 e più colleghi di università quelli con cui ho mantenuto una vera amicizia sono meno di 5. Sarà forse per questo che alcuni dei patetici personaggi di cui sopra sono conosciuti professionisti con la targa di ottone sul corso principale della città e io ancora mi arrabatto.
Tuttavia, ho fatto quello che la mia natura mi diceva di fare.
E credo di averci guadagnato in serenità e coerenza. Non mi sono mai dovuta guardare le spalle.
Anche le mie colleghe stanno un poco ai margini, come me: persone tranquille che cercano un bilancio tra lavoro e vita privata e famiglia, che non immolano tutte le proprie energie (fisiche ed emotive) sull'altare della carriera. Non hanno rimorsi, stanno a testa alta. E io sono stata bene con loro.
Mi sento di ringraziarvi tutti e tutte, per avere reso piacevole la navigazione in questi mari tempestosi.