martedì 14 marzo 2017

Prima o poi arriva

Io non so se quello che mi sta succedendo in questi giorni abbia un nome specifico o meno. Sindrome pre-mestruale, sbalzi d'umore stagionale, saudade, culture shock. Magari è di tutto un po'.
Ieri il malumore/malessere degli ultimi giorni ha raggiunto l'apice e la crisi è esplosa. In ambulatorio sono andata in panico e ho fatto una figura di merda col mio tutor. Sarà che mi avevano assegnato un compito che ritenevo al di sopra della mia portata, sarà che da alcuni giorni non ci dormivo al solo pensiero. Una prima visita in gravidanza, una paziente semplice dal punto di vista clinico, senza problemi. E però si trattava di compilare paginate di moduli, capire a chi inviarli, capire chi e come e quando avrebbe preso e dato i prossimi appuntamenti per visite ed analisi. E poi la visita ginecologica da svolgere, cosa che ho fatto pochissimo, e solo sotto supervisione durante gli anni di tirocinio. Ma quello è stato il meno, a quel punto ero già in crisi. Il tutor si è accorto che le mie guance stavano diventando sempre più rosse (maledette guance, non ci ho mai fregato nessuno... alla faccia di provare a farla franca durante gli esami!!!), e lui ha cominciato a venire sempre più spesso nel mio ambulatorio per chiedere se avevo bisogno di aiuto. Una volta congedata la paziente ho dovuto ammettere con me stessa e con lui che ero andata in panico. E per che cosa? Per una visita appena al di fuori della routine. A momenti non riuscivo nemmeno a chiudere il tappo di una provetta. Sono scoppiata in lacrime di fronte a lui, che -poveretto-cercava di tranquillizzarmi e rassicurarmi. "Tutto sta andando bene" -continuava a ripetermi- "tutto è sotto controllo, stai lavorando bene e stai crescendo dal punto di vista comunicativo e professionale". Niente, di fronte all'ineluttabile verità che i venticinquenni neolaureati tirocinanti sono molto più sicuri e indipendenti di me, io ero in crisi. Io sono in crisi.
Quando stai così il cuore ti dice una cosa, la testa te ne dice un'altra.
La preoccupazione delle enormi responsabilità che ci si è presi, nei confronti di sè stessi e della famiglia (strappare i bambini al loro nido, lasciare un lavoro sicuro, una bellissima casa nel Paese più bello del mondo, far patire questa decisione ai miei genitori, salutare gli amici) e la paura di non farcela prendono il sopravvento. All'inizio tutto il futuro è davanti, tutto può accadere e non ci si aspetta niente da te. Dopo sei mesi qualche risultato si deve cominciare a vedere, lo si deve cominciare a mostrare. Non si è più un foglio bianco tutto da scrivere. 
Va tutto bene, continuo a ripetermi, continuano a ripetermi. A 42 anni imparare una nuova lingua, cambiare tutta la propria vita, non è mica un gioco da ragazzi! 
E se a fine inserimento, fra otto mesi, non sarò in grado di lavorare in modo indipendente? chi mi vorrà? chi mi offrirà un contratto?
E se GF nel frattempo non troverà un lavoro, che cosa faremo? Valigie in fretta e furia e si torna con la coda fra le gambe? E cosa diremo ai bambini? "cuccioli, si torna a casa e dovrete arrabattarvi a recuperare l'anno di scuola italiana che vi siete persi!".
E poi quando vai in crisi qua, a chi lo racconti? Che fai, telefoni a casa e racconti a mamma che hai paura di non farcela? ...col timore di sentirti dire la frase più odiata da ogni expat? "ma che ti credevi, che erano tutte rose fiori? te l'avevo detto...". No no, la paura di sentirselo dire è troppo grossa. Eviti. "Tutto va bene, le giornate si stanno allungando anche qua, mamma, i bambini stanno bene e vanno a scuola felici".
Peccato che i piccoli mascalzoni quando li rimproveri per i capricci si mettono a strillare "voglio tornare in Italiaaaaa!!!! dai nonniiiii!!!", facendo leva su tutti i tuoi sensi di colpa. Come fanno a sapere perfettamente quali tasti toccare??

Il mio supercomprensivo tutor era tranquillo e sereno come una pasqua. 
"Prenditi il tuo tempo"- mi ha detto- "ai pazienti acuti ci pensiamo noi. Tu sei qui per imparare, non come forza lavoro. Adesso fai un bel respiro, finisci di compilare il diario clinico. E poi vai a casa e ti fai un bel bicchiere di vino rosso italiano".
Io mi sono scusata mille volte. Comportarsi così a 42 anni, che vergogna. Che figura di merda.

mercoledì 22 febbraio 2017

Ispirazioni

Appena tornata a casa da una giornata faticosa nella mia nuova vita lavorativa. Nuovo ambulatorio, nuovi pazienti, nuovi colleghi, nuova lingua. Nuovi standard, nuove mansioni. Nuove medicine. E’ come aver ricominciato da zero, da quando 15 anni fa ero appena laureata. Però con la padronanza di linguaggio di un decenne. 
Sull’autobus del ritorno leggo una proposta della mia amica Delia DezaYeppa: raccontare delle donne che ci hanno ispirato. E per me, sul momento, più che all’ispirazione, è venuto da pensare “ma CHI (cavolo) me l’ha fatto fare?”. Poi, pensandoci meglio...sì, chi mi ha ispirato a scegliere questa vita?

La prima che mi viene in mente è Maria Montessori. Chi non la conosce? Una delle prime donne medico in Italia, come potrei non pensare a lei?
Eppure, scava scava, mi viene in mente un libro che lessi tantissimi anni fa. Avrò avuto 8-10 anni, il libro era un volume vero, mica una roba da bambini. Il titolo non lo ricordo. Chissà da dove veniva, forse dalla biblioteca, forse da mia sorella. Fu una folgorazione, lo divorai. Parlava di una ragazza di buona famiglia, destinata ad una vita di agi come moglie e madre nella ricca borghesia inglese. Ma lei no. Studiosa, testarda, generosa, curiosa, rifiuta il fidanzato e decide di diventare infermiera, un mestiere che al tempo era agli ultimi gradini della scala sociale. Lei rivoluziona tutto, porta il metodo scientifico nella professione. Non paga di ciò se ne parte con alcune colleghe per la guerra di Crimea, a condividere pulci e diarrea con i soldati. Una che ha tenuto testa a generali, medici, politici, professori universitari. Una donna dall’apparenza fragile in un mondo maschilista, con una forza e una volontà da leone.

Io quando lessi quel libro pensavo fosse un bel racconto. Molti anni dopo scoprii che quella donna, che rivoluzionò un mondo e che trasformò l'infermieristica in una vera e propria scienza del “prendersi cura”, era esistita veramente. Si chiamava Florence Nightingale.

Quel libro ha seminato nella mia infanzia il desiderio di aiutare i malati. Ci sono voluti molti anni per scoprire che quel seme era germogliato nel silenzio del mio subcosncio e che aveva portato alla decisione di diventare medico.

Ecco qua la storia di Florence Nightingale: https://en.wikipedia.org/wiki/Florence_Nightingale

E grazie, Delia.

sabato 14 gennaio 2017

Medici danesi vs medici italiani, pazienti danesi vs pazienti italiani 1

Probabilmente è troppo presto per scrivere questo post, dal momento che ancora non mi sono completamente immersa nella realtà sanitaria danese. La mia timida incursione per ora è solo limitata ad un giorno di ambulatorio (medico di base, per chi non mi conosce) a settimana, e sempre come affiancamento al mio tutor. Non ho avuto ancora il "piacere" (!) di visitare da sola un paziente danese. Però comincio a farmi qualche idea e se non comincio a buttare giù le mie impressioni rischio di perdermi. Inoltre con questo post comincio a rispondere alle tante domande che mi sono state fatte da amici e colleghi durante le vacanze italiane.
La mia frequentazione di gruppi di medici di famiglia su facebook continua a ricordarmi quanto sia stridente il confronto tra le due situazioni sanitarie. PREMETTO: il confronto è IMPIETOSO. Ovvio che si tratti di miei pensieri e interpretazioni personali: chiunque esprima una sua opinione, qualsiasi sia l'argomento, ci mette dentro tutto il suo background e il suo vissuto. E ovvio anche che mi dispiaccia fare la solita figura dell'espatriata che dall'estero pratica lo sport di dire male dell'Italia, che in fondo mi ha comunque cresciuta e fatto essere ciò che sono ora. Però non mi rompete le palle scrivendomi che sono ingiusta con la mia Patria, a meno che non siate medici di famiglia italiani che lavorano in DK. 

1) I medici danesi lavorano 37 ore a settimana. La separazione tra vita e privata e lavoro è SACRA, non esiste al mondo che ci siano incursioni di pazienti nello spazio che il medico riserva alla sua famiglia. Un medico italiano è tenuto ad essere reperibile 12 ore al giorno. Questo porta i pazienti a sentirsi autorizzarti a chiamare SEMPRE nel corso della giornata. E per qualsiasi cazzata (mentre la reperibilità sarebbe per urgenze...non per farsi prescrivere la terapia cronica). Sia mentre stai facendo ambulatorio e sei nel mezzo della visita di altri pazienti, sia all'ora di pranzo (ore 13,30: "dottore ho pensato di chiamare a quest'ora perchè magari in questo momento è un po' più libero" ...sì, di pranzare!), sia ovviamente mentre sei in bagno, arriva lo squillo malefico. Non rispondi subito? continuano a tempestarti. Li richiami? "ah dottore, che fatica a rintracciarla!". Molti iniziano a chiamare alle 7 di mattina, se non hai l'accortezza di spegnere il cellulare di notte. Moltissimi si sentono autorizzati a chiamare la domenica, perchè ritengono che la guardia medica non sia abbastanza competente, ..." e poi, dottore, io mi fido solo di lei". Ammetto che la responsabilità è anche di coloro che permettono di tutto ai propri pazienti, li abituano ad un rapporto non professionale, ma amichevole. La diagnosi on demand: con whatsapp i pazienti mandano senza ritegno foto di gole e genitali. Colpa anche dei medici-zerbini, che ricordano con nostalgia i bei vecchi tempi dei medici condotti, di campagna o della mutua, mentre il mondo è completamente cambiato e se non si arginano le pretese dei pazienti non si ha più una vita. Non è cinismo. E' inutile fare gli zerbini e poi andare in burn-out dopo 10 anni, non si fa un buon servizio nè a se stessi, nè alla comunità. Qui in DK si finisce alle 16. Si torna a casa, si sta con i cari. Si è tutti più sereni.

2) Ogni paziente chiama prima di andare in ambulatorio, e prende appuntamento. Se si tratta di un'urgenza, chiama dalle ore 8 alle ore 9 e generalmente gli si trova un posto in giornata. Oppure ogni ambulatorio riserva un giorno alla settimana ai pazienti urgenti, che comunque devono sempre chiamare prima di andare in ambulatorio. Ogni paziente ha un tempo limitato. Di solito 10 minuti. Direte: ma è poco! No, se non ci si perde in chiacchiere. Italia: ogni paziente viene e ti snocciola 5 o 6 problemi (dottore ho mal di gola. Ah, visto che sono qui mi misura la pressione? E poi mi segna le medicina per la vicina di casa? Ah...ho trovato nel cassetto queste analisi, mi ero dimenticato di portagliele, me le controlla?), ti parla di almeno un familiare (moglie, marito, sorella, figlio, fratello). Danimarca: si viene per 1 problema alla volta. C'è da dire che i risultati delle analisi e esami strumentali e lettere di dimissioni arrivano direttamente sul computer e quindi non c'è tutto il viavai di pazienti con referti in mano come in Italia. In DK il medico non misura pressioni, non fa tamponi faringei, né prelievi. Ci pensano le segretarie. Nel momento in cui un paziente ti entra in ambulatorio vedi già la sua pressione, la PCR (=proteina C reattiva, un indice di flogosi che può aiutare nella distinzione tra infezioni virali e batteriche), la sua glicemia, le sue analisi. Ci si focalizza prima sul problema, si visita, si ha anche tempo per fare empowerment del paziente.

3) Qua non ho MAI, MAI visto una sola volta pazienti entrare e dire "dottore, mi DEVE segnare ... (analisi, medicine, esami, impegnative per specialisti)". Qua il paziente viene, espone il suo problema e aspetta che sia il medico a proporre terapie, test, approfondimenti. In Italia il 60% delle visite inizia con la richiesta di cui sopra. Non vi dico poi il giorno dopo delle trasmissioni a tema "medico" in tv: ognuno crede di essere affetto da questo e quello e pretende di fare tutti i test del caso. O magari "la parrucchiera mi ha detto che quella medicina è taaaaanto meglio di quell'altra e allora la voglio pure io!". E se non gliela dai si incazzano. E se non gliela segni "con la nota" o in fascia A (=per non pagare), si incazzano. E se poi non funziona, si incazzano. Con te, mica con la parrucchiera!

4) Qua le visite domiciliari sono casi ECCEZIONALI. Ora, non voglio dire che questo sia giusto a prescindere dai casi. Chiaro che se uno è immobilizzato a casa ha diritto ad una visita domiciliare. Ma in Italia si è COMPLETAMENTE perso il senso della misura. E in questi periodi di influenza si raggiungono picchi di follia indicibili. Richieste di visita per giovani sani con febbre da un giorno, per capogiri, per debolezza, per raffreddori. "Dottore, mica vorrà farmi uscire con questo freddo?", "Dottore, se non viene a vedere mia madre (per la quarta volta in un mese) dovrò portarla al pronto soccorso" (ah, per portarla al PS la fai uscire?). In Italia i vomiti sono sempre incoercibili, le diarree sempre al limite della sopravvivenza, le tossi insopportabili, le stanchezze eccezionali, i mal di gola allucinanti. Le influenze sono sempre "io non sono mai stato così in vita mia!", anche a 50 anni. Qua in DK ho visto una vecchietta di 87 anni e 39 chili, venire con le sue gambe (e il deambulatore) in ambulatorio, dopo 7 giorni di vomito e diarrea, con la febbre, dopo aver perso 6 chili. Spedita in ambulanza al pronto soccorso per disidratazione, ma venuta con le sue gambe! L'accordo collettivo nazionale italiano prevede le visite domiciliari per i pazienti che non si possono muovere da casa. Con questo si intendono i pazienti allettati, o con handicap, quelli estremamente anziani. La febbre NON è un motivo per non poter uscire di casa (anche per i bambini, sì!!), come non lo è la "fiacca", o non avere la macchina (!!!!). L'influenza c'è anche in Danimarca in questa stagione. Non è arrivata UNA SOLA chiamata per visita domiciliare. La gente, se proprio non può aspettare il decorso della malattia, si prende una Tachipirina e viene in ambulatorio. Se non ha la macchina, si piglia un taxi. Da noi se non vai ti minacciano di chiamare i carabinieri. Alternativa: finisci per prescrivere antibiotici a casaccio al telefono, per evitarti di fare 30 domiciliari al giorno (vedi il punto 6). Oppure i pazienti vanno ad intasare i PS e succede (regolarmente, tutti gli anni) il casino mediatico. In Italia è sempre EMERGENZA influenza, una delle più temibili e rare malattie del mondo.

5) Non ho MAI visto mettere in discussione la decisione del medico. I pazienti qua si fidano. Vengono per un problema da un professionista esperto nella materia e si fidano, come di solito ci si dovrebbe fidare di uno che ne sa di più di noi, sennò che ci si va a fare? In Italia siamo tutti allenatori di calcio... e tutti medici. Nel 90% dei casi, quando proponi un percorso terapeutico o diagnostico, il paziente conosce sempre una soluzione alternativa, che gli è stata proposta dal vicino di casa o dalla cassiera del supermercato: "dottore, con la Mafalda ha funzionato XXX, perchè non me lo fa fare pure a me??". Per non parlare di quel 5% dei pazienti che proprio si incazzano, ti fanno le piazzate, ti insultano, ti minacciano... specialmente se sei una donna. Vi sembra che esageri? chiedete a qualsiasi medico voi conosciate, chiedetegli non SE, ma QUANTE volte è stato minacciato, sia fisicamente che verbalmente. Resterete sorpresi.

6) Si usano meno farmaci. Ma meno meno meno, eh. Pazienti in terapia con più di 3-4 farmaci sono rari, pur avendo condizioni patologiche gravi. In Italia i pazienti anziani con più di 4-5 farmaci in terapia cronica sono la norma. Qua i farmaci si pagano, a meno che non si soffra di una patologia cronica (ipertensione, diabete) e solo i farmaci per quella patologia. Antibiotici? si pagano. FANS? si pagano. Cortisone? si paga. Superato un tetto annuale di spesa (circa 140 euro) poi lo Stato rimborsa. Sarà per questo, sarà per una maggiore oculatezza, mi sembra che però si abusi molto meno di quanto si faccia in Italia. I pazienti non chiedono, i medici prescrivono poco. Ho letto non pochi commenti di Italiani in Danimarca che si lamentano che "a meno che non stai per morire il medico l'antibiotico non te lo segna!!!"). Certo, in Italia siamo abituati a prescrivere antibiotici al telefono, e sempre col "salvastomaco" perchè TUTTI da qualche anno a questa parte credono di avere la gastrite, e "un po' di cortisone dottoreee non me lo segna?", e noi medici italiani giù a segnare. Un po' perchè siamo esasperati, un po' perchè delle linee guida ce ne freghiamo, un po' perchè pur di far smettere quel caxxo di telefono di suonare siamo disposti a qualsiasi cosa. E poi ci ritroviamo con le più alte percentuali europee di antibioticoresistenza. Sono 2 mesi che ho iniziato ad andare in ambulatorio qua in DK. Non ho MAI visto una sola volta prescrivere il cortisone al di fuori delle malattie reumatiche o allergiche. Colleghi italiani... quante volte avete visto in Italia un paziente con bronchite o polmonite senza il suo bel Bentelan o Deltacortene in tasca?

7) Qua il medico fa il medico. Fa diagnosi, prescrive terapie. Mansioni infermieristiche (prendere pressioni, glicemie, fare prelievi, cambiare cateteri, fare medicazioni semplici, valutare parametri di crescita nei bambini...) sono svolte da infermieri. C'è una stretta collaborazione tra medico di famiglia e infermiere di famiglia. Ognuno ha il suo ruolo, il suo spazio e la sua dignità professionale.

8) La gestione delle urgenze. Qua per andare in Pronto Soccorso bisogna prima chiamare. Se, e SOLO SE, si ritiene di avere una condizione per cui si rischia la vita (un infarto, un ictus), si chiama l'ambulanza che ti viene a prendere. In tutti gli altri casi, si telefona, si parla con un operatore (esperto in triage telefonico) che, se ritiene che non sia una reale urgenza, ti dice di aspettare il giorno successivo e andare dal medico di famiglia, se ritiene sia un'urgenza ti dà l'appuntamento per il PS. NON si può andare in PS autonomamente e senza appuntamento. Anche il medico di famiglia, prima di inviare in PS, deve chiamare, esporre il caso e prendere appuntamento per il proprio paziente. Risultato: nei PS danesi non avvengono e non avverranno MAI situazioni come quelle apparse a Nola nelle scorse settimane. Devo dire che, con mio figlio che si era appena tagliato un dito e sanguinava molto, sono stata 20 minuti al telefono ad aspettare il mio turno per parlare con un operatore. A quel punto mi sono stufata e mi sono arrangiata con quello che avevo in casa. In Italia sarei corsa in PS per fargli dare i punti.

9) Chiudo richiamando il punto 1 e cioè il confronto per me più importante, più sorprendente, più stridente: i medici di famiglia danesi sono sereni, rilassati e contenti del loro lavoro. In Italia NESSUNO dei miei Colleghi (specialmente quelli più anziani) è così sereno. Sarà che il nostro sport nazionale è la lamentela (...e mi ci metto anche io, tant'è che me ne sono andata!), ma parlare con un medico di famiglia in Italia è assolutamente deprimente, sconcertante, sconfortante. I medici di famiglia italiani sono o squali senza scrupoli, o vittime in burn-out, o eroi che pensano ancora di essere ai tempi de "La cittadella"... e poi regolarmente si bruciano le ali. Sperano nella riconoscenza dei pazienti come risarcimento dei loro sforzi, in una visione romantica e antiquata della propria figura professionale. E quando puntualmente la riconoscenza non arriva, rimangono feriti, delusi, frustrati. Se si lavora per ottenere riconoscenza, si è proprio sbagliato tutto. Molti cercano di trovare le proprie soddisfazioni professionali in altre attività: politica, volontariato, insegnamento. La sanità italiana è continuamente sotto accusa. Non c'è alcuna stima professionale tra colleghi. Una continua accusa reciproca di incompetenza, una guerra tra poveri (eticamente) assolutamente penosa. I miei colleghi danesi sembrano contenti di ciò che fanno, anche dopo 30 anni di professione. Questo è per me molto, molto confortante.

Qualcuno troverà un po' ciniche alcune mie affermazioni. Io penso che fare il medico NON sia una mission, ma una professione con un grande impegno etico certo, ma non una missione. E poi, guarda caso, quelli che mi hanno detto "eh... ma se per te non è una missione, hai sbagliato mestiere!" sono quelli che più di tutti abusano della mia disponibilità. Linko qua un post che nella sua sguaiata violenza verbale mi ha fatto tanto ridere (ma la realtà è proprio questa!): https://nessunodicelibera.wordpress.com/2015/02/22/nemmeno-le-puttane/

La nostra medicina generale, gratuita per tutti come credo nessun'altra in Europa, disponibile 24 ore su 24 ore, è bellissima, ma non è più sostenibile. E' triste dirlo, ma è una costatazione.  Alla prossima puntata.