Ecco, qui Giulia ha espresso quello che ho vissuto e penso anche io.
Piccoli Vichinghi: Ma quanto deve studiare un medico
E, visto che ci sono, vi racconto come è andata a me.
IL CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA
Durante gli anni di università sono sopravvissuta a ben DUE riforme: il numero di esami che dovevo ancora sostenere si dilatava e si restringeva a seconda di come giravano al Ministro di turno. Vecchio, nuovo, nuovissimo ordinamento: noi non sapevamo più cosa studiare, i professori non sapevano più cosa spiegare. E poi c'erano i professori che non spiegavano affatto: vecchi baroni che stavano lì da un tempo immemorabile, che non mettevano più piede in ospedale da secoli, che non avevano alcun contatto con la realtà clinica. Per non parlare di quelli -dei pazzi da barzelletta, ormai- che ci raccontavano dei mal di pancia del loro cane. E malgrado le proteste di noi studenti, le lettere al preside, i commissariamenti, nessuno poteva -o voleva- spostarli di lì, prendere atto che erano tappezzeria, che erano vergognosi.
Ho passato un'infinità di ore e giorni e mesi sui libri.
I tirocini pratici: 15-20 studenti in fila dietro ad un medico che faceva il giro del reparto alla mattina. Eravamo talmente tanti che non riuscivamo neanche ad entrare nelle stanze dei malati, figurarsi a fare un'anamnesi o un esame obiettivo. I primari ci fecero presto intendere che i tirocini erano solo una rottura di scatole, che prima ci levavamo di torno, e meglio era per tutti. Non so quante volte ci dissero: "Restate a casa. non venite in reparto, ci stareste solo tra i piedi. La certificazione della frequenza ve la diamo lo stesso".
E tu, quando sei studente, non hai un'idea di cosa sia importante e cosa no. Ti sembra che solo superare l'esame sia importante, aver tempo di studiare (sui libri) è la tua priorità. Se invece di trascorrere una noiosa mattinata a fare il codazzo in reparto ti danno la possibilità di startene a casa a studiare, ti sembra che ti abbiano fatto un regalo. E invece in quel momento ti stanno rubando un diritto. Quello alla formazione. Ma tu hai solo 20 anni, non sai minimamente cosa ti aspetta fuori, non ti rendi conto di quale fregatura ti stanno dando.
Io mi sono laureata col massimo dei voti, e pure la lode. Ero un medico-chirurgo!!
E non sapevo fare nemmeno un'intramuscolo.
IL POST LAUREA
Mi sono detta: adesso, durante il tirocinio post-laurea, forse farò qualche cosa di pratico.
Sono incappata in un'altra delle innumerevoli riforme. Quell'anno il tirocinio post-laurea è stato eliminato, per poi essere ripristinato l'anno successivo. Ma io sono capitata in quell'anno là, e il tirocinio non l'ho fatto. Ho dato l'Esame di Stato, mi sono abilitata.
Potevo FARE il medico. Presa dal giusto terrore, decisi di mettere da sola qualche pezza alla mia formazione: tirai fuori soldini e buona volontà, mi pagai un'assicurazione e andai a fare la tirocinante VOLONTARIA. Scelsi il Pronto Soccorso di un piccolo Ospedale, perchè nel nostro grande Ospedale Universitario venivi sempre DOPO: dopo il primario, dopo tutti i medici, dopo gli specializzandi, dopo gli infermieri, dopo gli studenti di infermieristica. Mai nessuno che trovasse un minuto da dedicare alla tua preparazione. Almeno, nell'ospedaletto di periferia, qualcuno si prese la briga di insegnarmi a fare le suture. Andavo alle 7 di mattina ad imparare a fare i prelievi, con gli infermieri. Andavo tutti i pomeriggi nello studio di un medico di famiglia ad imparare almeno a compilare una ricetta, che manco quello l'università mi aveva insegnato.
LA SPECIALIZZAZIONE
Speravo che con la specializzazione (in malattie infettive) le cose sarebbero migliorate.
La prima cosa che il mio professore di specialità mi disse, appena superato il concorso di ammissione fu:
"Margherita, tu devi stare in laboratorio, perchè sei brava. Di medici che sanno palpare pance ce ne sono anche troppi. Tu imparerai a fare LA RICERCA."
Peccato che io non sapevo manco palpare le pance.
La seconda cosa che mi disse fu:
"Margherita, mi raccomando, non farti mettere incinta".
Ho avuto discussioni infinite per poter andare TUTTI I GIORNI in ambulatorio. Ho dovuto contrattare: se la mattina volevo stare in ospedale, sarei dovuta restare fino alle 19,30 in laboratorio alla sera. Tutti i giorni 12 ore. Anche un sabato sì e uno no. Ho dovuto lottare per usufruire di quello che era un mio diritto: imparare. E sapete perchè? Per una questione politica. Perchè il reparto di malattie infettive, che io avrei dovuto frequentare, era ospedaliero. Cioè: non universitario. Cioè: con un primario diverso dal mio professore di specialità. Cioè: un rivale, un nemico, un'altro gallo nel pollaio.
A chi non è uso alle assurdità italiane sembrerà strano, ma esistono queste cose: una scuola di specializzazione universitaria che non ha il relativo reparto in ospedale. Riuscite ad immaginare una scuola di specializzazione in chirurgia che non ha sale operatorie dove far lavorare i propri studenti? Ecco, una cosa così.
Io, la pupilla di X (professore universitario), non dovevo finire nelle grinfie di Y (primario ospedaliero): hai visto mai che Y mi avesse insegnato qualcosa e io, invece di restare a fare la ricercatrice/biologa nel laboratorio di X, me ne fossi scappata per andare a lavorare nel reparto di quel cattivaccio di Y??
Due anni in ambulatorio, due anni in reparto (ma attenzione a non imparare troppe cose da Y, eh!, ascoltalo con moderazione!). Questo abbiamo ottenuto, e già era un grosso passo avanti rispetto agli specializzandi che ci avevano preceduto.
Però ho imparato a fare la biologia molecolare, a distinguere i differenti plasmodi della malaria al microscopio, ad allestire delle colture cellulari. Tutte cose molto utili di fronte ad un paziente con la febbre, o la diarrea o una polmonite.
IL POST-SPECIALITA'
Una volta specializzata il professore X mi chiese di restare. A gratis. Nell'attesa che di trovare una fantomatica borsa di studio. Intanto, mi sarei potuta mantenere con le guardie mediche. Vale a dire: vai a lavorare di notte, così di giorno continui ad essere la mia schiavetta.
Me ne sono tornata al paesello natio.
Ho mandato a cagare l'università e il suo mondo marcio.
Ho vinto il concorso per entrare al Corso di formazione in medicina generale. Cioè: una sorta di specializzazione per diventare medici di famiglia (da molti anni ormai non basta più la sola laurea). Un corso organizzato dalla Regione, questa volta, e non dall'università. E la differenza si vede.
Sono stati tre anni di tirocini: un anno dal medico di famiglia, 6 mesi in medicina interna, 3 mesi in chirurgia, 3 mesi in Pronto Soccorso, 6 mesi tra ginecologia e pediatria per dirne solo alcuni. Non è stato tutto perfetto, ma -finalmente- qualcuno mi ha trattata come un medico, e non più come una liceale. Ho imparato. Ho visitato tanti pazienti. Ho fatto tante diagnosi. E siccome non mi bastava, ho fatto anche (a mie spese) il corso per diventare medico del 118, e lì finalmente mi sono tolta un sacco di dubbi.
Ho capito che l'università non ne sa niente di quella che è la medicina del territorio, quella di tutti i giorni. L'università si riempie la bocca con la ricerca, con i più moderni esami di laboratorio o strumentali, con i farmaci più nuovi, ma non sa darti nessuno degli strumenti che ad un medico servono tutti i giorni, e che dovrebbero essere il pane quotidiano: scrivere un certificato, una ricetta, un'impegnativa, conoscere il nome dei farmaci più comuni, auscultare un torace, fare un prelievo, giudicare cosa è un'emergenza e cosa non lo è, scegliere l'esame clinico con il miglior rapporto utilità-costo. Non ti insegna a fare un ragionamento clinico. Non ti insegna ad ascoltare. Non ti insegna a palpare le pance. Tutte queste quisquilie le snobba.
Peccato che se le pance non le sai palpare, i pazienti magari muoiono.
CONCLUSIONE
Cosa ne penso di un anno in meno per la formazione dei medici?
Come ho commentato su Piccoli Vichinghi, siamo messi così male che un anno in meno non cambia niente. Se si trattasse di fare 5 anni, ma fatti bene, con tanta pratica e meno nozioni, anzichè 6 anni così come sono ora, sarebbe una bella novità.
C'è qualcuno che ci crede?
Bel post e complimenti per il blog.
RispondiElimina"due galli in un pollaio" mi dà una certa sensazione di dejà vu.
Se ti stufi di precariato e guardie mediche e vuoi lavorare seriamente, in tutta la Scandinavia cercano medici di famiglia. Qui è una specialità di 5 anni che include tirocinio in pediatria, gineco, ORL e oculistica ma potresti sicuramente lavorare come specializzanda finchè non completi il curriculum e le condizioni economiche sono molto migliori rispetto all'Italia.
Una curiosità: al corso per medico del 118 insegnavano a intubare e se sì quanta pratica si faceva? Nella mia provincia il 118 era coperto dagli anestesisti ma uno dei miei più grandi timori nel lavorare in qualche PS periferico, dove invece il medico di PS usciva in ambulanza, era proprio di non aver abbastanza esperienza per gestire le vie aeree.
Grazie Giulia! In effetti, come ho scritto sul tuo blog, siamo tra quelli che stanno pensando di andarsene, e Svezia/Norvegia/Danimarca sono le sorvegliate speciali tra le destinazioni possibili. Al momento, dopo l'arrivo del Nanetto siamo un po' troppo impegnati, ma appena prendiamo fiato non mancherò di ri-contattarti magari per qualche informazione.
RispondiEliminaDurante il corso 118 è stata data grande enfasi all'uso e alla pratica con la maschera laringea, che ormai sul territorio è molto usata. Insomma: meglio non perdere minuti preziosi se non si riesce/non si è capaci di intubare, ma usare la maschera laringea e trasportare al DEA. E poi ogni anestesista che ho incontrato mi ha detto che, almeno sul territorio, è ancora più importante saper ventilare correttamente (con l'Ambu o il Va-e-vieni), cosa che non tutti sanno fare, piuttosto che saper intubare.
Comunque, abbiamo affrontato l'intubazione più volte su manichino (adulto e pediatrico), sia durante le lezioni teoriche, sia durante l'ALS e PHTLS. Ho intubato parecchi pazienti durante il tirocinio in anestesia-rianimazione; certo, erano pazienti sedati-anestetizzati-curarizzati, quindi nelle migliori condizioni, e quindi è stato più facile che nelle condizioni di emergenza.
Se dovessi un giorno imbarcarmi nella nuova avventura dell'emergenza territoriale, lo farei solo dopo un lungo periodo di affiancamento in ambulanza, questo è certo.
che dire, un medico che si laurea e non ha mai fatto pratica??? ecco, non mi ero mai interessata a questa facoltá, né all'iter di studi, ma trovo che sia orribile non solo per voi, ma anche per quei pazienti che si metteranno nelle mani di un medico che non sceglie come te di continuare gli studi...
RispondiEliminanon critico gli studenti, ma il modello universitario!
io ho studiato lingue, finito a tempo prima di entrare nella riforma, ossia, che la riforma era in atto ma io ero ancora dentro il vecchio ordinamento, 4 anni+laurea. non ho continuato a studiare solo perché il dottorato non me lo potevo permettere, visto che il relatore mi ha detto in faccia che non poteva raccomandarmi giá che aveva un'altra sotto la sua ala protettrice (io non volevo mi raccomandasse, solo che m'informasse, ma si vede che era impossibile entrarci a sto dottorato, visto che c'era solo a roma...), e i master non me li potevo permettere economicamente.
comunque io ho studiato le lingue all'estero, come au-pair e viaggiando. c'è gente uscita dall'universitá che non ha mai parlato inglese con un inglese, o che gli esami d'inglese li dava in spagna con l'erasmus, dove erano molto piú facili..giusto per dirti come funzionava!!!
alla fine l'universitá serve poco, ma per come sia mal strutturata. ora é peggio di prima, 3 anni+2+chissá che altro, e ti ritrovi a 35 che finalmente puoi iniziare a lavorare, forse...e qui in spagna l'universitá dura 3 anni e basta. se vuoi c'è la laurea, ma quella vale ad un dottorato, e questo significa che io ho un dottorato in mano qui!!! (e non serve a niente, ma vabbé..)
@Selena: ad onor del vero non è che ci si laurea senza ALCUNA pratica, ma la sensazione, una volta terminati gli studi è sempre quella di non averne fatta A SUFFICIENZA. Per fortuna non conosco nessun collega che appena laureato si sia messo a praticare; la maggior parte di noi fa specializzazioni o master o ulteriori corsi. O, come minimo, fa dei periodi di affiancamento prima di cominciare a lavorare (anche perchè un medico, con la sola laurea in tasca, senza ulteriori titoli, può fare ben poco). La paura di sbagliare, o di essere denunciati per imperizia, ci mette le ali!
RispondiEliminaDa specializzanda al 2 anno confermo tutto quello detto da Marghe e Giulia nei loro post; la verità è che quando usciamo dall'università e dalla specializzazione non siamo adeguatamente preparati dal punto di vista pratico. Tutto ciò è frustrante per noi, nonchè pericoloso per i pazienti. Io ho paura di non diventare un buon medico, quello che vorrei essere. Anche io penso di andarmene all'estero, ma questo vorrebbe dire ricominciare la specialità ripartendo dalla medicina interna. Boh, sono in dubbio; quello di cui sono sicura però è che voglio avere una formazione di buon livello sotto tutti i punti di vista, SOPRATTUTTO quello pratico. Se per avere questo devo lasciare l'Italia, beh allora il gioco vale la candela.
RispondiEliminaCarla
ciao, io sono una specializzanda del primo anno...il mio reparto ora verrà forse fuso con un'altro e non si sa che cosa ne sarà della nostra formazione (non che nessuno se ne preoccupi in effetti)....se non altro alcuni miei colleghi sono riusciti ad ottenere il permesso di frequentare in un'altra sede....speriamo di riuscirci anche noi....mah....momento amarezza. cmq è verissimo quel che dite: io la medicina l'ho imparata nel tempo libero dall'università, in ambulanza come volontaria di croce rossa e in reparto, frequentando mia sponte
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